La Pania
La Pania, le radici e i primi passi
“Il ricordo è un modo per incontrarsi”. Lo scrive il poeta libanese Khalil Gibran. Che non è un frequentatore dei Pispini e neppure della Pania, ma che ben lega la necessità della memoria al significato dell’incontrarsi oltre le barriere del tempo. Per i nicchiaioli questo incontro ha sempre avuto un unico riferimento certo, il covo, il porto sicuro: la Pania. Perfino quando la società ancora non c’era. Andare alle radici della Pania e risalirne poi la “corrente”, chiarirà perché.
Antenati 1: la Società della Bandiera. Poi, la Società dei Venti
La prima antenata della Pania è la Società della Bandiera sorta nel 1873 e statutariamente legata alla Contrada del Nicchio. Scopo sociale era quello di realizzare un pranzo annuale attraverso il quale raccogliere fondi a vantaggio della Contrada. Nel momento del massimo fulgore raggiunse 90 adesioni, rigorosamente di soli uomini. Una volta all’anno, agli inizi di ottobre si faceva il pranzo sociale nei locali di Vita Eterna.
Sessanta “adunati” votarono all’unanimità lo Statuto di fondazione della Società della Bandiera il 2 novembre 1873. Presidente era Tito Montecchi, Ispettore Giovanni Bruttini, Segretario Giovanni Barbi. Nello Statuto sono già evidenti i legami con la Contrada, fin dal frontespizio della copia conservata nella Biblioteca Comunale degli Intronati, dove si legge: “Statuto della Società fra gli appartenenti alla Nobil Contrada del Nicchio, sotto il nome La Bandiera”. Recita l’articolo 1: “E’ istituita nella Nobile Contrada del Nicchio una Società tra i nativi, protettori, abitanti e geniali della medesima per la formazione di un pranzo che avrà luogo ogni anno in Siena”. L’articolo 13 destina in modo specifico le risorse economiche rimaste a seguito del pranzo sociale, fissato per ogni prima domenica di ottobre: “Il denaro dovrà essere erogato a totale vantaggio della nostra Contrada, cioè: destinarlo per nuove bandiere o per vincita di Palio”. Inoltre, all’articolo 26 si legge: “il fantino che avesse riportato vittoria nella nostra Contrada, sarà ammesso al pranzo sociale”.
Dopo dieci anni, la Società della Bandiera lasciò il testimone alla Società dei Venti, che aveva sede nello stabile Coppi, probabilmente al civico 99 di via dei Pispini. Gli aderenti si ispiravano a quel motto scritto nello stendardo, che ancora oggi ci invita a un divertimento pacato, senza eccessi: “Nell’allegria modera te stesso”: Vi si legge la data 1885, anche se questo sodalizio era nato nel 1883.
Cesare Ciampolini nella pubblicazione del 50° ha riportato l’elenco degli aderenti, presente nell’Archivio del Nicchio, insieme ad altri documenti:
Giovanni Bruttini
Giovanni Giannelli
Gaetano Cucini
Angelo Fineschi
Francesco Nencini
Natale Bernini
Giulio Pasquali
Federigo Corsi
Pietro Caprioli
Francesco Senatori
Alessandro Senatori
Natale Senatori
Natale Marzocchi
Carlo Orlandi
Gaspero Giannelli
Sallustio Peci
Natale Capperucci
Antonio Lazzoni
Adamo Taliani
Leopoldo Micheli
Angelo Corradeschi.
Quando, nel 1899, la società si sciolse, le poche suppellettili di proprietà andarono in dono alla Contrada, come riporta il documento di scioglimento firmato da Carlo Orlandi.
Antenati 2: la società di Mutuo Soccorso Montaperto
La volontà associativa della gente dei Pispini, in quegli anni poverissimi, aveva anche finalità solidaristiche che, in un primo momento, nulla avevano a che fare con la Contrada. Nel 1879 nasce, infatti, la “Società di Mutuo Soccorso Montaperto nel rione dei Pispini”, che poi cambierà il suo statuto dopo qualche anno. Fu approvato nell’adunanza generale del 14 gennaio 1886. All’articolo 71 si legge: “In caso di scioglimento il fondo di Cassa ed i mobili esistenti saranno donati a 20 famiglie più povere del rione dei Pispini”.
Le condizioni di estrema povertà dei rioni senesi originarono un sentimento di solidarietà che fu alla base della nascita di molti sodalizi di mutuo soccorso. Ne ha scritto Aurora Savelli nel suo libro “Sodalizi – Forme dell’associazionismo urbano a Siena tra Otto e Novecento” (Pacini Editore – 2017). E in merito alla società Montaperto si legge: “Si proponeva di sussidiare i soci malati e di promuovere il benessere morale dei membri della Società, chiedendo loro «una vita operosa e morigerata (…) Solo nativi ed abitanti nel rione dei Pispini potevano far parte della Società come membri effettivi (art. 5). Era, con tutta evidenza, una Società a carattere territoriale, che nasceva e si sviluppava nel e per il rione dei Pispini, sostenendo economicamente i soci malati (…) La Società operava esattamente nel cuore territoriale della Contrada del Nicchio, ma del tutto autonoma da quest’ultima e senza apparenti intersezioni”.
Si deve entrare ben dentro il XX secolo per un deciso cambio di rotta che sfocia in una chiara connessione con la Contrada del Nicchio. Il 21 giugno 1922, infatti, la società cambia lo statuto e si rinnova a partire dalla denominazione, che diventa «Società di Mutuo Soccorso Montaperto fra i nativi ed abitanti nel rione dei Pispini». Ma appena un anno dopo cambia tutto e il sodalizio si trasforma, divenendo in tutto e per tutto un vero antenato della Società La Pania. Scrive Aurora Savelli: “Quello dei rapporti del sodalizio con la Contrada era argomento spinoso e non risolto se, su questo specifico aspetto, assistiamo ad un totale ribaltamento di contenuti negli statuti approvati a solo un anno di distanza dai precedenti, nell’assemblea del 7 luglio 1923. Intanto, cambiava l’intitolazione della Società: non più «Società di M.S. Montaperto fra i nativi ed abitanti nel rione dei Pispini», ma «Società di M.S. Montaperto fra i componenti la Nobil Contrada del Nicchio». Si trattava, di fatto, di un nuovo sodalizio, che aveva dovuto trattare con il vecchio questo delicato passaggio, e che innovava del tutto i rapporti con la Contrada del Nicchio. (…) La Società si costituiva tra i nativi e i domiciliati del rione, purché – e l’aggiunta è significativa – componenti la nobil Contrada del Nicchio» (art. 1). E tra gli scopi leggiamo ora non solo lo sviluppo della mutualità tra i soci e il loro benessere (art. 2, a e b), ma anche «sviluppare fra i nati e gli abitanti nel rione dei Pispini i legami tra essi e la nobil Contrada del Nicchio» (lettera c). In caso di scioglimento, fondo cassa e mobilia dovevano essere trasferiti alla Nobil Contrada del Nicchio (art. 62).”. (Sodalizi, pagg.181-182).
Questo il primo Consiglio direttivo della società:
Presidente
Ciliberti avv. Ferruccio
Vicepresidente
De Santi avv. Vittorio
Consiglieri
Mugnaini rag. Gino, Giorgi rag. Marino, Papini Ghino, Cialdani Nello
Bilanciere
Talenti Bruno
Ispettore
Sprugnoli Spartaco
Economo
Cardini Guido
Cassiere
Lusini Gaetano
Sindaci revisori
Olmastroni rag. Luigi, Cairola rag. Gino
Segretario
Marzocchi Dante
Antenati 3: risorse per il Palio dalla Società della Corsa
A cavallo fra Ottocento e Novecento i nicchiaioli crearono un’altra società- E stavolta non c’erano finalità conviviali o ricreative a spingerli, ma la determinata volontà di contribuire alle spese della Contrada per vincere il Palio. Il 22 aprile 1906, con un cambio di denominazione, venne ufficialmente presentato il Regolamento della Società del Palio della Nobile Contrada del Nicchio. Cesare Ciampolini nella pubblicazione del 50° della Pania riporta l’art. 7 del Regolamento: “Scopo di tale società è costituire un capitale per concorrere alla spesa nella vincita del Palio da parte della Contrada. Tale somma non potrà oltrepassare Lire Cinquecento salvo che il corpo sociale non avesse a deliberare per una somma maggiore qualora il fondo sociale lo permettesse”. Scrive Ciampolini: “La Società diede un consistente contributo per i 5 Palii vinti tra il 1920 e il 1932. L’attività terminò con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, mentre il conto fu definitivamente estinto nel 1951. A fianco della Società del Palio ed in maniera completamente autonoma esisteva un’altra società, anche questa mirata esclusivamente a raccogliere i fondi per aiutare la Contrada della gestione del Palio, e prendeva il nome di Società Fondo Pro Palio. Da una relazione presentata al priore della Contrada, Arturo Malatesta afferma di aver gestito questa società dal 1933. Al termine della relazione presentata il 12 giugno 1950, si legge: “Attualmente i soci sono complessivamente numero 32. In considerazione del numero ridotto dei soci, (e di conseguenza anche degli incassi) e secondo quanto mi riferisce l’Esattore altri si perderebbero dato il momento attuale, riterrei opportuno, in una prossima udienza di Consiglio, studiare il sistema migliore per poter giungere alla fusione di questa società con quella del Palio”.
Antenati 4: l’Associazione Sportiva Antonio Palmieri
Si ha traccia, più che altro nei racconti di alcuni anziani, di altre società tra nicchiaioli, dai nomi curiosi: Becco Giallo, Gingillo, che più che altro servivano per aggregare le persone del rione con finalità ricreative e per fare gite turistiche.
Ma erano anni in cui si celebrava anche la prestanza fisica della gioventù e nonostante un’alimentazione non proprio “ricca” i nicchiaioli crearono un sodalizio sportivo, l’ASAP (Associazione Sportiva Antonio Palmieri), intitolata al capitano Antonio Palmieri. Esponente di antica famiglia nobiliare, guidò la contrada sul Campo nei primi cinque anni del XX secolo, vincendo due Palii in dieci mesi (9 settembre 1900 e luglio 1901), per diventare poi Priore in anni successivi.
Cesare Ciampolini ha tratto dagli archivi di Contrada il materiale per delineare nella pubblicazione del 50° della Pania, la storia di questa importante società tra nicchiaioli che cessò di esistere negli anni Cinquanta. Ne riportiamo alcune parti: “Come si apprende dal libro dei verbali dell’ASAP depositato presso la Contrada, il 5 settembre 1927, nei locali della Contrada, quattro giovani del rione, Guido Nardi, Giovanni Anichini, Francesco Ciardi e Guido Corsi ed un membro del Consiglio Direttivo della Contrada, decisero di indire un’adunanza tra tutti i giovani del rione dei Pispini presieduta dal Priore del Nicchio, per la costituzione di un’associazione sportiva. Il 20 novembre 1927, alla presenza di Guido Nardi, Giovanni Anichini, Francesco Ciardi, Guido Corsi, Fosco Falugi, Remo Fabiani, Aldo Vannini, Gino Scali, Torquato Bigoli, Cesare Secci, Armando Palagi, Bruno Fattorini, Bramante Gennai, Gino Neri, Giulio Anichini, Ido Landi, Emilio Bordoni, Bruno Cresti e Nello Cialdani, in rappresentanza del Priore della Nobile Contrada del Nicchio, fu approvata la bozza di regolamento/statuto. Lo scopo della società era puramente sportivo ed educativo e tende a tenere riuniti i giovani del rione dei Pispini nelle ore libere, preparandoli così alla fraternità ed amore per la propria Contrada, Città, Nazione”.”
I colori sociali dovevano richiamare quelli della Contrada “azzurri con rifiniture rosse e gialle”, ma una circolare del Podestà impose di togliere da insegne, vessilli e uniformi sportive delle associazioni “tutto ciò che poteva dargli un carattere contradaiolo”. Una misura che appare ancora oggi incomprensibile, ma l’Asap fu comunque costretta a gareggiare solo in rosso/azzurro. Già dopo pochi mesi i soci erano 65. Le attività sportive iniziarono il 17 dicembre 1927 con l’istituzione della squadra di calcio affidata al Direttore Sportivo Fosco Falugi. Il 24 gennaio 1928 fu dato il via alla squadra podistica e il 20 febbraio fu ufficialmente formata la squadra ciclistica. In tempi successivi ci si dedicò anche all’atletica e al pugilato. Quando si sciolse la società di Montaperto i residui soci furono ammessi all’ASAP, che divenne anche proprietaria della mobilia sistemata nelle varie sedi che caratterizzarono l’attività del sodalizio sportivo nicchiaiolo.
Nelle strade del rione gli atleti asappini canticchiavano spesso questa canzone:
La Società dell’ASAP
È una bella società
Perché c’è l’allegria
E la tranquillità
Se siamo dieci
si sembra cento,
con cuor contento
si canterà
Il 20 ottobre 1946 la Società ASAP versa 500 lire alla Contrada del Nicchio ed era presumibilmente la quota di contributo per la fondazione della Pania.
Nasce la ”Società Ricreativa del Nicchio”
La voglia di stare insieme e di avere un “covo” per vivere momenti sereni e di divertimento diventa un bisogno vero e proprio appena passata la guerra. Nel rione dei Pispini, tra i tanti che l’hanno sbarcata pur in mezzo a mille sofferenze, la solidarietà era di casa. Si sapeva che c’era chi non metteva insieme il pranzo con la cena, ma la gente si voleva bene senza smancerie e qualcosa in tavola arrivava dalla vicina di casa o dall’amico. Quando, a marzo del 2007, furono raccolte le testimonianze dirette dei nicchiaioli del primo dopoguerra, poi riportate nella pubblicazione per il 60°, una frase che colpì tutti fu questa: “In quegli anni nei Pispini il 90% ‘unn’era povero: scianguinava! S’andava a chiedere in prestito ai vicini un po’ di zucchero, un cucchiaio d’olio. Ma nessuno si vergognava o si sentiva mortificato, perché s’era quasi tutti in quelle condizioni”. Un aiuto veniva direttamente dagli Americani, che avevano messo il loro Comando a Palazzo Maccherini e gettavano caramelle dalle finestre ai bambini. Era un piccolo mondo, ma animato, vissuto, dove c’era perfino il gelataio Giordano e Italia, la sagrestana, sapeva tutto di tutti. E ben 14 calzolai. Chissà perché.
Nel 1946 la guerra era un ricordo del giorno prima. La vita andava avanti, certo, e anche le contrade, e anche il palio sopravvivevano. Ma cinque anni di interruzione avevano lasciato il segno; lontananze forzate – guerre nei più sperduti angoli della terra; prigionie lunghe che avevano interrotto affetti, amicizie e conoscenze; voglia di riprendere la vita di “prima” ma con la consapevolezza che, in realtà, nulla sarebbe più stato come “prima”. Il Palio aveva ricominciato la sua vita; le contrade, in realtà, mai l’avevano interrotta. Così, se le bandiere avevano accolto la prima jeep dei liberatori nel luglio del 1944, appena un anno dopo si era tornati a coprire Piazza del Campo con un anello di tufo e si era tornati a trepidare per un cavallo e per un pezzo di stoffa dipinta.
Ma in quel 1946, appunto, c’era la consapevolezza che nulla sarebbe stato come prima della guerra: la contrada doveva essere più di prima territorio di comunità di affetti; di amicizie; di solidarietà. la contrada doveva, insomma, ancora una volta – come altre volte era successo – saper vedere “oltre” al palio: farsi strumento non solo della festa e del rito ma, altrettanto, dell’organizzazione della vita comune.
Non fu niente di diverso da questo a spingere un gruppo di Nicchiaioli, la sera del 5 gennaio di quell’anno, a porsi l’esigenza di un “qualche cosa” di comune: un “luogo” in cui ritrovarsi, in cui parlare di palio (ma non solo di esso), e di contrada (ma non solo di essa) per i Nicchiaioli (ma non solo per essi). I loro nomi, la contrada, li conosceva bene: erano di quelli che l’avevano “fatta”; in certo modo, la contrada; e che avrebbero continuato a “farla” per anni ancora. Perché erano di quella gente che nella contrada c’era nata, che la portava dentro, che la viveva come una parte della vita, inscindibile da quest’ultima. Nell’ “Atto di costituzione della Società Ricreativa del Nicchio” (che quindi non è ancora La Pania) si leggevano anche i luoghi dove abitavano i firmatari, nonché di qualcuno, il genitore per meglio identificarli.
Guido Fattorini e Renato Fattorini (entrambi di Lorenzo) via dell’Oliviera 24
Italo Migliorini di Daifebo via dell’Oliviera 24
Gino Rossi via dei Pispini
Cristoforo Arrigucci fu Giacomo Sez. C 193
Otello Damiani di Emilio via dei Pispini 13
Alfio Moscadelli Sez. C 193
Osvaldo Susini di Ezio via dei Pispini 18
Ezio Fattorini fu Augusto via San Martino 14
Bruno Scali via San Martino
Gino Mazzeschi fu Agostino via dell’Oliviera 26
Carlo Bianciardi via Sallustio Bandini
Raffaello Lusini fu Giovanni via Pantaneto 42
Lido Landozzi via Camolli
L’atto firmato era di una sinteticità che diceva, tuttavia, tutto: “Si sono riuniti i seguenti contradaioli ed hanno costituito la Società Ricreativa del Nicchio, aderente alla Nobile Contrada del Nicchio”. Erano le otto di sera; i convenuti firmarono e si salutarono: era la vigilia dell’Epifania. A casa i bambini aspettavano per la cena e per scartocciare i regaletti che quell’austera e povera prima befana di pace gli avrebbe portato.
Il Seggio del Nicchio approva: cercasi locale
Il 2 febbraio il progetto della Società fu approvato dal Seggio della Contrada del Nicchio: il Priore Gastone Cesari ebbe parole di incoraggiamento e di apprezzamento, che fecero piacere ai fondatori, ma le idee erano già chiare da tempo.
Nella bottega del sarto Renato Fattorini, da tempo si parlava di cercare un locale. Fino ad allora i nicchiaioli si trovavano al bar La Rondine e se c’era da discutere, dentro i portoni del rione. Per cercare il locale fu formata una commissione composta da Ezio e Guido Fattorini, Lilio Rosi, Bruno Scali, Renato Fattorini e Italo Migliorini. Fu anche diffusa una circolare tra i contradaioli. Questo il testo:
“Nicchiaioli, dimostrate con i fatti il vostro attaccamento alla contrada del cuore e fate che il sogno si traduca quanto prima in realtà. Il patrimonio della contrada ne riceverà un notevole incremento ed il Nicchio, al pari di molte altre Consorelle, avrà finalmente una propria Società ed un proprio locali, degni delle sue tradizioni e auspicio di nuove vittorie. Viva il Nicchio”.
I locali furono trovati: tre vani e un po’ di terreno al numero civico 30 di via dei Pispini. Per trovare i soldi furono fissate quote di 500 lire rimborsabili. La sottoscrizione non bastò e allora intervenne la Contrada per una parte della spesa. E poi alcuni generosi contradaioli che ci misero il resto: Gaetano Salvatori, Aroldo Chiavistrelli, Cesare Machesi e Benito Giachetti (poi proprietario di Gaudenzia).
Raccontano gli anziani Contradaioli che il 10 marzo 2007, in occasione del 60° della Pania, vennero radunati dall’allora Priore Daniele Magrini, per raccogliere le loro preziose testimonianze:
“I locali si comprarono un po’ per volta. All’inizio era praticamente solo un sottoscala e di giorno s’andava a ripulire. L’avevano usato come magazzino e c’era un troiaio da far paura. Perfino il portone si comprò di seconda mano alla svendita degli arredi della Banca Toscana di Piazza Tolomei. Sul portone ci s’era messo l’insegna della Shell con la lampadina dentro: era del distributore e gli si cancellò la scritta mantenendo la conchiglia”.
Prime elezioni: Gambino battezza la Pania
Il 31 maggio 1947 si tengono le prime elezioni del Consiglio Direttivo. Il verbale riporta ancora la denominazione “Società del Nicchio” ed elenca tutti nomi dei 58 votanti. Ci sono i fondatori, ovviamente, ma anche alcuni giovani che faranno la storia del Nicchio nei decenni successivi: Enzo Marzocchi, che sarà vicario e presidente di società, Alberto Corradeschi storico mangino, Robusto Guerrini che sarà Priore per quasi un decennio, dirigenti di lungo corso come Mario Maccherini, Arturo Malatesta, Rolando Fattorini e Sirio Susini appassionato cavallaio.
Il verbale dei risultati ha il timbro della Nobil Contrada del Nicchio: il legame con la Società è ormai saldo e indissolubile. Questi gli eletti: presidente Cesare Pepi (57 voti su 58), vicepresidente Gaetano Salvatori, cassiere Arturo Malatesta, bilanciere Aroldo Rovai, economo Cristoforo Arrigucci, vice economo Francesco Cirardi, segretario Lilio Rosi, consiglieri: Aroldo Chiavistrelli, Enzo Marzocchi, Ezio Fattorini, Carlo Bianciardi, Vittorio Sali, Osvaldo Bocci, Bruno Scali, Sergio Meiattini.
Il primo Consiglio Direttivo della nuova società si riunisce il 4 giugno 1947. Le prime delibere riguardano la richiesta della regolare licenza di spaccio delle bevande, l’acquisto del bancone di mescita, l’orario di apertura dalle 21 alle 24, la quota di iscrizione fissata in 25 lire e la quota mensile di 10 lire, l’attribuzione delle responsabilità di riscossione dell’incasso serale ad Arturo Malatesta e Gaetano Salvatori, l’adeguamento dei locali. Tema quest’ultimo che sarà una costante nei decenni successivi e ancora lo è, vista la crescita impetuosa del numero dei contradaioli.
Venne stilato lo “Statuto Regolamento della Società Ricreativa del Nicchio”, che all’articolo 15 recitava: “La Società ha il dovere di aiutare la Nobile Contrada del Nicchio e verserà ogni anno, o nelle epoche che si riterranno necessarie, le somme disponibili alla Nobil Contrada del Nicchio”. E a questo obbligo ogni anno, fino ai giorni nostri, la società ha sempre ottemperato con orgoglio. Avevano diritto a fare richiesta di iscrizione alla società i nativi del Nicchio e gli abitanti da almeno due anni nel rione. Ogni socio era elettore ed eleggibile, purché (articolo 4) non fosse analfabeta. Circostanza in quell’epoca per niente rara. Dal 24 giugno del 1947 furono stabiliti i turni di servizio al banco: lunedì Gaetano Salvatori, martedì Carlo Bianciardi, mercoledì Sergio Meattini, giovedì Enzo Marzocchi, venerdì Ezio Fattorini, sabato Cristoforo Arrigucci, domenica Francesco Cardi.
Poi, Dante Marzocchi detto Gambino, battezzò la Pania, perché chi veniva in società ci restava appiccicato, come fanno gli uccelli con questa sostanza-trappola ottenuta dalle bacche del vischio. Nelle serate poco illuminate alla Pania si giocava a carte, soprattutto. Si racconta di una storica partita a tressette in cui i quattro giocatori consumarono 72 bicchieri di vino. Si giocava a morra e ogni sei punti si doveva bere un gottino che costava 15 lire. Nel 1949 è registrato un acquisto di vino per un milione e anche un record attribuito a Valentino Barblan, Romano Bartalozzi e Brando Bomberesi: 58 bicchieri di vino consumati in tre.
Per svariarsi un po’, nel 1949 con 18.000 lire fu comprata una radio per ascoltare la radiocronaca delle partite di calcio fatta da Niccolò Carosio. E poi la macchina del caffè a meno di 15.000 lire, grazie a un generoso sconto del Malatesta che le vendeva. La società era ormai un riferimento nel rione. Raccontarono i testimoni dell’epoca durante la riunione del 2007:
“La gente frequentava la Pania. Il Babbone (Ezio Susini) veniva col tegame a mangiare con la famiglia tutte le domeniche e a volte anche nei giorni di lavoro. Le donne un po’ meno, ma qualcuna ci mangiava: la moglie di Enzo Marzocchi, la moglie di Volturno. Si prendeva anche il gelato e s’andava a veglia la sera portandosi a casa le seggiole”
Formidabili i primi dieci anni: Carnevale, Tipi Vinici e la stallina
Chi avesse idea che i nicchiaoli del Dopoguerra si ritrovassero alla neonata Pania soltanto per bere e giocare a tressette, è lontano anni luce dalla realtà. Gente mai banale quella del Nicchio, già nella vittoria del Palio proprio in quel 1947, Ciancone e Salomè: la prima con un capitano donna, Sobilia Palmieri Nuti Carafa di Roccella. La genialità congenita alla Pania trovava il covo ideale di ispirazione. Già nel 1950 prese vita il Carnevale con tanto di sfilata di mascheroni e carri allegorici in Piazza del Campo il Giovedì Grasso e Martedì Grasso. Un’idea nicchiaiola per tutta la città, che poi verrà replicata anche negli anni Ottanta. Il comitato organizzatore guidato da Giulio Capitani meritò anche un’ode poetica:
Il Capitani lustro e ridente
per i suoi meriti è presidente.
Il sarto Mele lo segue a rota
e dei quattrini tiene la nota
mentre i costumi Bocci ha trovato
dopo aver tanto girovagato.
La mascherata del Fattorini
fu maturata da due grondini
e il Giovannetti tanto cercò
che qualche soldo raccapezzò.
Lando fu scelto per tuttofare
Gano i coriandoli vuol lesinare.
Tante storie, tanti volti antichi del Nicchio che fu. Il Carnevale tenne banco per tutti gli anni Cinquanta. Ma già nuove idee maturavano. Nel 1957, in occasione del decennale, sotto la presidenza di Alberto Corradeschi (che lo fu dal 1954 al 1959, con vice Adige Bartalozzi a partire dal 1955), nella pubblicazione “Noi della Società del Nicchio” il bilancio delle attività era già lusinghiero: oltre ai Carnevali, le gare sportive e l’ampliamento dei locali, dove trovò posto anche l’ambita sala della televisione. Un numero unico curato magistralmente, oltre che dal presidente, da Agide Bartalozzi, Rinaldo Meacci, Duilio Sprugnoli e Osvaldo Starnini. Gente che sapeva stare insieme e pensare in grande.
Oppure rendere straordinario ciò che è piccolo, come accadde, in quei mitici primi dieci anni, con la realizzazione della “stallina” proprio all’ingresso della Pania. Una sorta di bomboniera per il cavallo, che rappresentava il segno del legame indissolubile tra la società e la Contrada. Fu utilizzato il locale un tempo utilizzata dalla mitica lavandaia Sora Caterina: le mura erano a mattone nudo, il soffitto di noce a cassettone, il pavimento a spinato per ricordare Piazza del Campo. Nella mangiatoia, in travertino, erano scolpite le insegne della Contrada. Orgoglio e commozione caratterizzarono l’inaugurazione.
Si rise, invece, lì per lì, a una battuta di Lilio Rosi sulla Mostra dei Vini Tipici che, da eccellenza cittadina degli anni Cinquanta stava sfiorendo irreparabilmente. Ma dall’ironico anagramma del Rosi, si passò rapidamente, nel 1958, alla realizzazione della Mostra dei Tipi Vinici, ripetuta anche nel 1959. Forse anche per la pungente iniziativa dei nicchiaioli nel 1960 tornò la Mostra dei Vini Tipici in Fortezza, dove la Pania si inserì gestendo il padiglione dell’Albana Corona. Era già tempo perché, dalla genialità dei nicchiaioli, prendesse forma un nuovo obiettivo. Si partì volando bassi, denominando la nuova manifestazione, “Novanta ore alla Pania”. Ma la Fiera Gastronomica era ormai nell’aria.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">Pania, dai mitici anni Settanta al terzo millennio
Anche la Pania, in quella porzione del secolo scorso in cui tutto pareva sbocciare e crescere, gli anni Sessanta, ebbe il suo boom: crescevano e si moltiplicavano non solo gli avventori, ma anche le occasioni per incontrarsi. Tanto per fare due esempi, anche per sottolineare la vocazione cittadina e non solo nicchiaiola del “pensiero paniota”. Nel 1965 ci fu un concerto di una cantante abbastanza famosa all’epoca: Didi Balboni, che era stata valletta di Mike Bongiorno e anche attrice nel film “Le sedicenni”. E la Pania fu la sede di un grande evento sportivo di livello mondiale: una storica cena del sempre più importante Meeting Internazionale dell’Amicizia di Atletica Leggera.
Furono anche anni di delicate discussioni interne. Perché prima di approdare ai mitici Anni Settanta, fu deciso l’affidamento esterno del bar. Assemblee, fumose riunioni, commissioni: passare dal volontariato alla gestione su incarico, non fu per niente facile. Alla fine, però, nel 1965, Lido Lorenzetti, proprietario di un locale a Poggibonsi, fu il primo gestore indiretto, per un canone mensile di 60.000 lire, l’incasso dei biliardi a suo appannaggio, pulizia e luce a carico suo. Un anno dopo cambio di gestore, fino ad arrivare all’affidamento che ebbe maggiore durata e che rimane ben impresso nella mente di tanti oggi ultrasessantenni.
La gestione fu infatti affidata a Vittorino, l’eroe delle nostre vittorie, che incappò nell’incidente alla prova del 1965 per il quale dovette rinunciare a montare. Così, dietro al banco, lui e sua moglie Anna divennero una presenza costante, che soprattutto ai ragazzini che si avvicinavano alla Pania per la prima volta, incuteva un naturale rispetto. La gestione di Giorgio Terni finì nel 1974 e un anno dopo si concluse anche l’esperienza dell’affidamento esterno del bar.
Furono anni in cui ogni presidente cercò di dare, con i suoi collaboratori, nuovo impulso e offrire sempre più occasioni di aggregazione: da Mario Maccherini ad un nuovo incarico da presidente per Alberto Corradeschi, fino a Giulio Capitani e poi, in piena coerenza con il trend di quell’anno, anche la Pania ebbe il suo ’68, con l’avvento alla presidenza di un giovanissimo Silvio Griccioli. E poi, Rolando Fattorini, Nello Speri, Guido Franci ed Enzo Marzocchi, senz’altro uno dei “padri della Pania”.
Una preziosa testimonianza per risalire al clima particolarmente fecondo in cui alla Pania furono vissute le trasformazioni degli ultimi decenni del secolo scorso, è quella che Angiolino Lorenzetti, presidente dal 1992 al 1997, ha offerto nel volume sul Cinquantesimo della società. Scrive Angiolino: “Ricordo con tanta nostalgia gli anni Sessanta, che segnarono per me i primi incarichi in Società, prima come consigliere, il cui compito principale a quel tempo era quello di fare servizio al banco, mediamente una volta alla settimana, poi come vicesegretario e poi segretario. Nel corso di quegli anni dovemmo, per necessità contingenti, dare la società in gestione indiretta perché purtroppo non era possibile coprire tutti i servizi. Personalmente ritengo questa un’esperienza negativa. Negli anni Sessanta fu eletto per la prima volta Presidente un giovane: Silvio Griccioli. Per noi ragazzi dell’epoca fu una grossa soddisfazione: ci sembrava di essere tutti presidente e dirigere tutti insieme la società. Ricordo gli anni Settanta che ci videro finalmente riprendere la gestione diretta della Pania e la definitiva affermazione delle attività estive in particolare la Fiera Gastronomica, che in quel periodo si ampliò in maniera notevole con l’acquisto, da parte della Contrada, della valle della Pania, aprendo di fatto l’utilizzo di questo bellissimo spazio verde da sempre agognato”.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">Dal sogno delle piscine all’antica fornace dei vasai<span data-metadata="">
Gli anni ’70 videro un ulteriore sviluppo delle attività: la società divenne anche adibita a “sala concerto” per le esibizioni di cantanti di fama internazionale come Mia Martini. Nel 1974 uscì il primo numero della Spannocchia, con direttore responsabile un giovane e battagliero Filippo Geraci, giornalino di Contrada, che nasceva alla Pania
All’inizio degli anni Settanta – anche grazie allo sviluppo delle attività – lo spazio ricominciò a mancare. Achille Neri (che sarebbe stato priore vittorioso nel 1969 e Capitano ugualmente vincente nel 1984) aveva lavorato fin dai primi anni Settanta ad un progetto di ristrutturazione, che prevedeva la realizzazione di una piscina nella vallata.
Il progetto si avviò: furono stanziati i fondi; i contradaioli si organizzano in squadre di volontari per tutte le opere preliminari (misurazioni, sterri, scavi di fosse…). E a questo punto la piscina si trasformò in una doccia fredda: il progetto fu bloccato dalla Sopraintendenza che ravvisava in esso uno snaturamento della vocazione a verde di questo lembo di città contigua alle mura. Le polemiche si levarono al cielo, ma la piscina non si fece.
Si fecero invece gli altri lavori: si intervenne sul piano strada, valorizzandone le voltature, e si prospettò un uso integrato fra il piano coperto e la terrazza che dava accesso ai giardini. Il vasto locale al primo piano – coperto dalle volte a vela e nel quale spiccava un minuscolo ma interessante affresco – fu adibito a sala giochi e a locale di riunione. Altri vani furono utilizzati per uffici.
L’idea era quella di integrare i locali della società anche con una nuova stalla, e di utilizzare gli spazi verdi a valle (Val di Pania, ormai da sempre ribattezzati gli orti retrostanti incorniciati dalle mura) per farvi passeggiare il cavallo nei giorni del Palio.
Quest’ultima parte (che era, come si vede, la logica prosecuzione dell’istruzione di tanti anni prima di chi aveva voluto la ” stallina” tutt’ uno con i locali della società) non si realizzò, e, anzi, la stalla del cavallo, fino ad epoche recentissime, fu ospitata a lungo qua e là per i Pispini in locali talvolta consoni, talaltra di fortuna. Fino all’approdo all’ex Distretto.
Per aumentare lo spazio poi, si andò a frugare negli inutilizzabili (o sotto-utilizzati) scantinati. E qui avvenne la scoperta.
Gli scavi, infatti, restituirono una serie di reperti archeologici: frammenti ceramici di epoca medievale e rinascimentale. In poche parole, ci si era imbattuti nell’ antica fornace dei vasai che la documentazione scritta, effettivamente, diceva essere esistita sei secoli fa nei Pispini. C’era di tutto in questo campionario di antica produzione senese: ceramica non smaltita; maiolica tre-quattrocentesca con decoro verde e bruno-manganese; pezzi quattrocenteschi policromi; maioliche ” a sgraffio”.
Accanto a questi c’erano reperti di ceramiche e di maioliche importate da Firenze, da Deruta; c’erano ceramiche ispano -moresche importate nel Cinquecento dalla penisola Iberica.
C’erano giocattoli in terracotta; c’era una brocca di ragguardevoli dimensioni del tre-quattrocento con raffigurato uno stemma gentilizio; c’era uno splendido piatto decorato del Quattrocento, e ce n’erano due cinquecenteschi, uno dei quali spiccava per la sua bellezza rappresentata dal ritratto policromo che vi campiva.
Fu allertata la Soprintendenza, fu mobilitato l’insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università.
E la conclusione fu il recupero e il censimento (fatto congiuntamente – per la prima volta a Siena – fra archeologi professionisti e contradaioli) di una serie di reperti ceramici, affidati in deposito da parte della Soprintendenza alla contrada, e i più significativi pezzi dei quali fanno oggi bella mostra di sé nelle teche del museo di contrada inaugurati nel maggio del 1988.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">Con il pallino del pallone<span data-metadata="">
Tra docce e fredde e fornaci ritrovate, il campo nel quale maggiormente si dispiegò l’iniziativa nicchiaiola in questo periodo, Fiera gastronomica a parte, beninteso fu quello sportivo. Nel 1971 una squadra ufficialmente targata “Pania” partecipò alla Coppa Città di Siena, uno degli appuntamenti di prestigio per atleti non professionisti – e subito la vinse.
L’anno dopo, nella stessa manifestazione, fece il bis e nelle edizioni successive la squadra della Pania fu osso duro per tutti. Lo staff tecnico era composto da Adige Bartalozzi, Pier Luigi Masi, Giulio Andreini, Alessandro Corradeschi, Alessandro Poggi. Fu l’inizio di un connubio, quello tra il calcio e i nicchiaioli che continua ancora, rinsaldato negli anni anche da brillanti idee. Come quando, nel 1983, la Pania organizzò il primo torneo di calcetto nel palazzetto della Mens Sana. Parteciparono le squadre di ben 15 società di contrada, escluse Lupa e Pantera. La prima edizione la vinse il Barbicone, poi un anno dopo arrivò lo stop.
Ma non solo il calcio si addiceva ai nicchiaioli.
Il basket nostrano esordì nel 1974 con il torneo fra società di contrada. La Pania mise su formazioni competitive, rafforzate una volta da due giocatori mensanini come Paoli e Franceschini, altre da cestisti americani. Il nocciolo duro rimase però quello indigeno e nel 1975 arrivò la vittoria del torneo. La storia del basket della Pania continuò con altri appuntamenti. Intanto altre specialità sportive stavano prendendo piede, come la pallavolo e Il ciclismo, una specialità, quest’ultima, nella quale la Pania ha sempre vantato una squadra di ferro e una figura carismatica: Giancarlo Cambi, per tanti anni protagonista nella mitica Siena-Follonica.
In tempi più recenti, da rimarcare due fatti legati ancora al calcio: il successo per tre volte nel torneo “Dudo Casini”, diventato un appuntamento importante dello sport senese nel pre-palio di luglio. E anche un’esperienza di calcio femminile con la presenza di una giovanissima Nuti, figlia di Lucia Cioni, che pareva davvero predisposta per il pallone.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">I ruggenti anni Ottanta e il mal del calcinaccio degli anni ‘90<span data-metadata="">
Gli anni Ottanta si aprirono con un cambiamento strutturale nell’assetto della società: entrarono sulla scena, come protagoniste, generazioni più giovani. La Pania non era più solo dei “maturi”, ma sempre di più anche dei giovani e dei ragazzi. Pietro Sancasciani, Roberto Damiani, Franco Filippini, Gigi Forconi e poi, appena dentro gli anni Novanta, Roberto Lorenzini, furono i presidente che gestirono il passaggio verso una nuova concezione della società di contrada.
Riformata la struttura del consiglio (1986), Il numero dei consiglieri scese a tredici – ciascuno responsabile di un preciso settore – con un solo vicepresidente. Ma la volontà di ristrutturare l’assetto istituzionale della società portò, appena tre anni dopo, nel 1989, a rielaborare lo statuto e a dare un nuovo assetto alle cariche, aumentando il numero dei consiglieri e raddoppiando quello dei vicepresidenti
Il nuovo volto dinamico e giovanile della Pania si manifestò in una serie di iniziative ad alto tasso di partecipazione: gli appuntamenti del sabato sera con la pizza in società già dal 1981, i tornei di biliardino, tennis, ping-pong, carte; la serie degli appuntamenti che nel 1980 andarono solo il titolo “A cena con…. Conferenze conviviali per parlare di Palio, di storia, di cultura contradaiola, che l’allora presidente Enzo Marzocchi affidò all’organizzazione di un giovanissimo Daniele Magrini. Grande successo ebbe anche la riedizione del Carnevale cittadino, voluto nel 1983 dall’allora presidente Pietro Sancasciani, con l’ausilio prezioso di Adige Bartalozzi.
Tutte idee che dettero ottimi risultati nelle presenze dei nicchiaioli e che evidenziarono la necessità di nuovi spazi. Così, a metà degli anni Ottanta si completò la discesa a valle. La ristrutturazione del piano verde fu effettuata, sotto la presidenza di Franco Filippini, chiedendo la consulenza dell’architetto Vittoria Ghio Calzolari, che per il Comune di Siena seguiva allora gli aspetti dell’arredo urbano vegetale nell’ambito dell’équipe del Piano regolatore, per eliminare piante che non avevano nulla a che fare con l’habitat senese. Fu anche riportato in luce un terrazzamento naturale scomparso sotto decenni di vegetazione.
Fu anche valorizzata la peschiera cinquecentesca nel contesto di una complessiva rivalutazione di tutto il lembo di città incorniciato dalle mura trecentesche e dalle eleganti architetture degli edifici dei Conservatori Riuniti.
La Pania non era più la stanza poeticamente affollata di contradaioli abitanti nel rione che bevevano un bicchiere di vino e tiravano tardi giocando a carte. Bene o male la società di Contrada, con la trasformazione della struttura sociale del centro storico e con quella urbanistica della città, ormai assolveva ad una vera e propria funzione vicaria della Contrada: chi non abitava più, ed era la maggior parte, nelle strade del rione vedeva (e vede) nella società il primo punto di aggregazione per i giorni al di fuori del periodo paliesco. I giovani, per parte loro, se si voleva che frequentassero la società dovevano potervi trovare iniziative in grado di competere con quelle offerte da altre strutture. Di qui la grande proliferazione di attività spettanti alle singole commissioni componenti il consiglio, per l’organizzazione ma anche per la gestione delle stesse attività e manutenzione dei locali. Lo spazio, per intendersi, non era mai abbastanza, e fu così che si arrivò alla grande ristrutturazione cominciata nel 1992, e che ha visto i soci per un breve periodo dover lasciare la propria sede per trasferirsi al circolo ARCI di piazza S. Spirito, alla vecchia sezione Borri dell’ex Pci. Nel giugno 1993 furono inaugurati il vasto salone di ingresso con il parquet, la vecchia terrazza divenuta spazio utilizzabile anche d’inverno, la valorizzazione del piano superiore compreso il restauro dell’ “affreschino”, una collocazione diversa del bar. Ma tra il 1996 e il 1997 Mario Corbelli e Marco Isidori, ampliarono il loro progetto di ristrutturazione, con un secondo stralcio, terminato nel 1998, ed ha donato alla società dei locali finalmente capienti e adatti alle numerose attività organizzate. Fin quando, nuove idee e nuove esigenze, hanno indotto a ulteriori scelte di ampliamento, nel 2024.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">Franco Filippini: la “riforma” del Consiglio e altri spunti<span data-metadata="">
Franco Filippini è stato Presidente della Pania dal 1986 al 1987. È stato decisivo nella riforma che portò il Direttivo in una struttura operativa più agile, rispetto al “Consiglione” che sussisteva prima del suo mandato. Di quegli anni Franco ha offerto una testimonianza in occasione del 70° della Pania, nel 2017.
“Quando ho deciso di fare il presidente di Società – disse – ho preso un po’ di tempo da parte della commissione perché venivo da un periodo di 7 anni di mangino, 2 ero stato fermo per cui, mi stavo un po’ leccando le ferite di tutto quel periodo anche abbastanza strano, che era successo negli ultimi anni in cui avevamo gestito il palio dopo la vittoria dell’81. Mi sarebbe piaciuto, qualora avesse accettato e la commissione avesse accettato, di fare il presidente con una struttura molto più snella. E così andò.
Quindi c’era questa grossa vallata, un serpaio, incolta – sottolinea Filippini – che da tempo pensavo come fare per poterci mettere le mani. Si è potuto fare in un periodo abbastanza di passaggio dal punto di vista burocratico/legale, perché noi i permessi non si sono chiesti, si è cercato di essere più rigorosi possibile, abbiamo preso come modello la vecchia stampa del Vanni. Si è fatto una specie di archeologia tornando indietro di qualche secolo e riportando la valle com’era e dov’era. Da parte di tutti è stato un grosso atto di coraggio, perché infilare in valle due ruspe all’inizio di un periodo in cui devi inevitabilmente fare la fiera e non sai dove andrai a finire, era una cosa che ti faceva venire la sudarella.
“In quei due anni nel 1986 e 1987 – continua Franco – mi sentivo abbastanza carico di energia per potermi mettere alla prova e sentivo che questa forse anche più di quello che ho fatto dopo, era la vera prova, perché la gestione della Società è una cosa veramente impegnativa. Certe decisioni le puoi prendere quando in quel momento storico, in quella situazione, senti di poterlo fare, c’erano le persone giuste in quel momento per poter fare quest’azzardo. Ce lo ricordiamo molto bene come un periodo fra i più felici, e credo anche da parte di chi non faceva parte di quel consesso sia stato vissuto nella stessa maniera. Perché può darsi che questo clima che si era creato facilitasse gli eventi – intendo la vittoria del 1998 – o può darsi che gli eventi facilitassero questo clima che si era creato, non si sa.
“Come è cambiata la società è difficile dirlo – sottolinea Filippini – perché non ho più la frequentazione quotidiana di prima, per un discorso di scelte, per tante situazioni. Quando veniamo a cena fra le persone un po’ più mature, siamo adusi ricordare le cose passate, ma il passato è passato; quindi, è come se noi si cercasse di rimanere giovani ricordando le cose belle che ci sono state. Mi augurerei che nel futuro ci sia qualche persona che si alza con qualche idea – conclude Filippini – che possa tirare una svolta a una routine che per ora vedo abbastanza uniforme nei bienni. Se uno si apre e va a vedere altre cose, probabilmente può darsi che sia più facile che si alzi una mattina con qualche idea per cambiare un attimino anche questo microcosmo contrada e società”.
Anni Duemila, la nuova espansione
Riccardo Cini, uno dei presidenti più giovani, che ha guidato la società nel triennio 2014-2016, offre una efficace sintesi dell’evoluzione della Pania negli anni Duemila: “Come scaletta sintetica metterei: le indagini della Finanza; le abitudini di frequentazione della società che cambiano, con meno persone presenti quotidianamente ma con i locali insufficienti per alcune cene, tanto da indurre a spostarci in alcune occasioni nell’hangar all’ex Distretto Militare in Santa Chiara. Proprio per questo si inizia a pensare a nuovi lavori di espansione. Ma voglio anche ricordare – continua Cini – l’installazione alla Pania del defibrillatore, con l’organizzazione di corsi per l’utilizzo. E infine, la partecipazione della nostra società insieme alle altre sedici, alla spedizione di soccorso dei terremotati con l’organizzazione di vere e proprie mense da campo sia all’Aquila che ad Amatrice”.
Di un’altra generazione, ma anche lui presidente nel terzo millennio, è Massimo Gistri, che ha retto la presidenza dal 2001 inoltrato al 2007: “Penso che quella mia presidenza – osserva Massimo – rappresenti il punto di approdo di un percorso iniziato alla fine degli anni 70 con la partecipazione come consigliere della Società presieduta da Enzo Marzocchi. Poi con presidente Filippini sono stato responsabile dei servizi, quindi il presidente Luigi Forconi mi affidò il ruolo di responsabile della Valle e poi con Angiolino Lorenzetti pPesidente, sono stato Responsabile della Fiera Gastronomica con Checcone, che ricordo con immenso piacere e nostalgia. Sempre la responsabilità della Fiera mi fu confermata dal Presidente Maurizio Cenni e ho poi accompagnato la presidenza di Riccardo Petreni come suo vice.
“Gli anni dal 2001 al 2007 come Presidente di Società – ricorda Massimo Gistri – sono stati molto belli, anche se faticosi. In questo periodo c’è stato il grosso problema creato dall’inchiesta della Guardia di Finanza. Sono stato l’unico Presidente di società raggiunto da una lettera del comandante dell’arma in cui mi si chiedeva di comparire in via Curtatone per rispondere a delle domande sull’attività della Pania. Quando ritirai la raccomandata tornai a casa e dissi a mia moglie “finalmente ritorno nei Pispini”, visto che fortunatamente il carcere si trova in Piazza Santo Spirito. Bando agli scherzi – continua Gistri – furono un paio d’anni piuttosto pesanti perché volevamo andare avanti nella nostra attività ma era come camminare sulle uova. In questo periodo ho capito che non esiste la solidarietà tra consorelle, come quando ti squalificano anche in modo ingiusto, le altre sono contente perché aumentano le possibilità di uscire e di correre. Tutte sono pronte a criticare e ad addossarci le colpe, nessuna che diceva di fare muro tutti insieme. Questo mi ha un po’ deluso -sottolinea Gistri – Credo che se fosse successo venti anni prima ci sarebbe stata un’altra risposta o forse è solo una speranza. È l’evoluzione della specie, della società, del mondo che rende tutti più egoisti e meno disposti al sacrificio verso gli altri io come dico ai più giovani sono nato in un altro mondo e quindi sono sempre legato a quel mondo dove avvenivano scontri verbali anche molto forti e pesanti ma poi in moltissimi c’era la volontà di aiutarsi e andare avanti”.
I 60 anni della Pania, nel 2007, furono celebrati con il degno rilievo con l’uscita di due pubblicazioni, un convegno, una festa nel rione riallestito come sessant’anni prima, ed un pranzo con tutti i presidenti e vicepresidenti che si sono succeduti negli anni.
Il fervore degli anni “Venti” del terzo millennio è stato bruscamente interrotto dai due anni di Covid, che ci hanno tolto pezzi di vita vissuta in comune. Ma quel dinamismo delle idee auspicato da Franco Filippini continua a lasciare tracce importanti, anche per far maturare i semi gettati nelle presidenze del terzo millennio e precedenti: da Massimo Masi, che succedette ad Angiolino per concludere gli anni Novanta, a Maurizio Cenni e Riccardo Petreni, da Massimo Gistri a Stefano Marzocchi, fino a Stefania Bugnoli, Riccardo Cini, Andrea e Marzocchi e Marco Meini. Sotto quest’ultima presidenza sono iniziati i lavori che, grazie anche all’acquisizione del Fondo ex Sardelli, daranno un nuovo volto ai locali. A conferma della sussistenza, anche nel terzo millennio, di quel “mal del calcinaccio” che, di decennio in decennio, ha caratterizzato generazioni di nicchiaioli, in realtà uniti dal medesimo stimolo e dalla stessa passione: la voglia di rendere sempre più bella e accogliente la sede della società, che poi è semplicemente la casa di noi del Nicchio.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">Tutti i Presidenti<span data-metadata="">
- CESARE PEPI 1947-1949
- ROBERTO SOMMAZZI 1950-1951
- BENITO GIACHETTI 1952-1953
- ALBERTO CORRADESCHI 1954-1959
- ARTURO MALATESTA 1960-1961
- MARIO MACCHERINI 1962-1963
- ALBERTO CORRADESCHI 1964-1965
- GIULIO CAPITANI 1966-1967
- SILVIO GRICCIOLI 1968
- ROLANDO FATTORINI 1969-1971
- NELLO SPERI 1972-1975
- GUIDO FRANCI 1976-1977
- ENZO MARZOCCHI 1978-1981
- PIETRO SANCASCIANI 1982-1983
- ROBERTO DAMIANI 1984-1985
- FRANCO FILIPPINI 1986-1987
- LUIGI FORCONI 1988-1990
- ROBERTO LORENZINI 1991
- ANGELO LORENZETTI 1991-1997
- MASSIMO MASI 1998-1999
- MAURIZIO CENNI 2000
- RICCARDO PETRENI 2001
- MASSIMO GISTRI 2002/2007
- STEFANO MARZOCCHI 2008-2009
- STEFANIA BUGNOLI 2010-2013
- RICCARDO CINI 2014-2016
- ANDREA MARZOCCHI 2017-2019
- MARCO MEINI 2020-…