Nobile Contrada del Nicchio

I Nostri Simboli

Il senso di appartenenza alla propria contrada è sinonimo di condivisione di valori e luoghi, di rispetto delle tradizioni e di partecipazione, uniti da un profondo amore che si manifesta fin dalla nascita, quando la bandiera della contrada viene esposta con il proprio nome, o durante il battesimo contradaiolo, quando si riceve il fazzoletto intorno al collo, il cui nodo non si deve più sciogliere, metafora del legame indissolubile con il tuo popolo.
I simboli che esprimono e alimentano questo sentimento sono molteplici: colori, oggetti, suoni, che accompagnano e uniscono le diverse generazioni nella comune identità collettiva e rafforzano la continuità storica all’interno della contrada.


L’Araldica e i Colori

La Bandiera della Nobile Contrada del Nicchio è un campo di azzurro con figure araldiche d’oro e di rosso in parti uguali e minori dello smalto del campo.


Il suo emblema è una conchiglia sormontata da una corona Granducale, con due rami di corallo, moventi dall’orecchio della valva, e con un pendaglio formato da tre nodi di Savoia d’oro diviso da due rose di Cipro, una di rosso a destra e l’altra d’argento a sinistra.

  • Colori: Azzurro con liste gialle e rosse
  • Motto: È il rosso del corallo che mi arde in cor
  • Compagnie militari: Abbadia nuova di Sopra, Abbadia nuova di Sotto
  • Corporazione: Vasai
  • Santo patrono e festa titolare: San Gaetano Thiene, 7 agosto
  • Oratorio: Tra Via dei Pispini e Via Dell’Oliviera, costruito nel 1680 dai contradaioli e dedicato al loro Patrono
  • Società di Contrada: “La Pania”, Via dei Pispini 112
  • Fontanina Battesimale: Fonte dei Pispini (XVI Secolo)
  • Oratorio: Tra Via dei Pispini e Via Dell’Oliviera, costruito tra il 1683 e il 1685 dai contradaioli e dedicato al loro Patrono

La contrada ha il titolo di “Nobile” perché le sue compagnie militari attaccarono per prime nella battaglia di Montaperti (1260); per aver mantenuto per sei mesi l’esercito della Repubblica di Siena; per aver portato nel 1469 l’acqua nel proprio territorio; per aver impedito, nel 1527, ai Noveschi di penetrare all’interno della città da Porta San Viene (attuale Porta Pispini); per aver costruito a proprie spese, nel 1534, la Fonte dei Pispini.

Il Nicchio è gemellato con Asciano
Contrade alleate: Bruco, Onda, Tartuca
Avversaria: Valdimontone

L’evoluzione della Nostra Bandiera

16 agosto 1506 – Caccia dei tori
La più antica menzione della Contrada del Nicchio si trova in un poema redatto in ottava rima dal titolo La festa che si fece in Siena a dì XV di aghosto MDVI, composto da un anonimo fiorentino presente alle feste per l’Assunta di quell’anno, che a causa del maltempo fu posticipata al giorno 16 agosto. Fra le dodici Contrade che parteciparono alla caccia dei tori giocata per l’occasione, vi fu anche il Nicchio, la cui bandiera, portata dal capocaccia Lodovico di Mucco, è descritta in questo verso: “la bandiera fiera in campo rosso un nicchio biancho dal suo pesce scosso”. La più antica bandiera nicchiaiola, perciò, era completamente rossa con una nicchia al centro.

15 agosto 1546 – Caccia dei tori
La festa fu minuziosamente narrata da Cecchino cartaio in una lettera indirizzata il 20 agosto 1546 alla “nobilissima et onorata madonna Gentile Tantucci”, dal titolo La Magnifica & honorata Festa, fatta in Siena, per la Madonna d’Agosto, l’Anno 1546. La comparsa del Nicchio entrò in Piazza per settima, ed era composta da ottantotto uomini in livrea turchina e banda rossa; il capocaccia Claudio di Domenico era vestito di cremisi con ricami d’oro, così come i venti uomini a cavallo. L’insegna era completamente rossa. In una copia del resoconto data alle stampe nel 1582, sono presenti piccole difformità rispetto all’originale, considerato che gli uomini del Nicchio sono qui sessantotto e vestiti in livrea tutta rossa, e non turchina con bande rosse: “veniva la contrada del Nicchio, in livrea tutta rossa, in numero di sessant’otto, con una gran machina in forma di Nicchio, sopra la quale era un Nettuno col Tridente, sotto il Capo Caccia Claudio di ser Domenico, vestito di cremisi con raccami doro con suoi staffieri assai ornati. L’insegna loro era tutta rossa, portata da Pauolo Trombetto, vestito di cremisi cò trine doro”. Della caccia esistono anche due celebri fonti iconografiche, la Veduta della Piazza del Campo durante il corteo delle Contrade del 15 agosto 1546 e la Veduta della Piazza del Campo durante la caccia dei tori del 15 agosto 1546, dipinti ad olio su tela da Vincenzo Rustici nel 1585. Qui è ben visibile la bandiera del Nicchio completamente rossa, e anche gli uomini che sfilano dietro il carro a forma di nicchia marina sembrano vestiti solo di rosso.

1582 – inchiostro su carta con emblemi delle diciassette Contrade
Il disegno è conservato presso il fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma ed è allegato alla copia della relazione di Cecchino cartaio sulla caccia dei tori del 1546, stampata nel 1582. L’emblema del Nicchio viene rappresentato con una nicchia concava senza corona od altri ornamenti.

14 luglio 1641 – Palio corso in occasione del compleanno del Granduca di Toscana Ferdinando II
Nella ricorrenza del genetliaco del Granduca di Toscana Ferdinando II, il fratello minore Mattias de’ Medici, Governatore di Siena, indisse un Palio al quale presero parte otto Contrade, tra cui il Nicchio, come testimoniato da Lucas Holstein, presente alla festa, nel diario di viaggio Iter per Hetruriam. Egli descrive le divise delle Contrade partecipanti, confondendo i colori del Nicchio (cioè “rosso, turchino e bianco”) con quelli della Tartuca (“giallo, nero”).

Sonetto stampato dalla Contrada del Nicchio nel 1690 “Per maggior Aggregatione, e Pace, tra le Contrade del Nicchio, e dell’Onda”
Nel più antico sonetto della Contrada del Nicchio di cui si conservi copia, stampato nel 1690 per solennizzare la formale alleanza con l’Onda, in alto è presente una nicchia concava coronata alla reale.

2 luglio 1694
Il fantino del Nicchio viene indicato come vestito di “turchino” (Archivio Comunale di Siena, Preunitario 105).

2 luglio 1701 e 2 luglio 1702
Per la carriera del 2 luglio 1701 il fantino del Nicchio viene indicato come “vestito tutto di turchino”. Stessa giubbetto “turchino” viene ricordato anche nel Palio del 2 luglio 1702 (Archivio Comunale di Siena, Preunitario 105).

Palio del 16 agosto 1713 – Dipinto su tela raffigurante il Corteo storico
In un dipinto su tela di Niccolò Nasoni è raffigurato il Corteo storico del Palio del 16 agosto 1713. Quasi all’altezza di Fontegaia si nota la comparsa del Nicchio, con uomini vestiti di turchino e la bandiera di ugual colore con al centro una nicchia concava senza corona od altri ornamenti.

Bando emanato dai Deputati della Festa per il Palio del 2 luglio 1714
Al termine dei nove capitoli regolamentari sono elencate le “Divise delle Contrade”. Il fantino del Nicchio doveva vestire di colore “turchino”.

Palio straordinario del 2 luglio 1717 per la nomina di Violante Beatrice di Baviera a Governatrice di Siena 
Agostino Provedi descrive con queste parole la comparsa del Nicchio nella Relazione delle pubbliche feste date in Siena negli ultimi cinque Secoli (1791): “Ottaviano Centeni Capitano con numerosa squadra di gente armata, vestita di nero con cuccarde di color turchino, com’era la bandiera”. Nel carro spiccava “un nicchio ornato con Corona Reale”. Anche lo stemma ad acquarello disegnato nel Veridico ragguaglio della Solenne Entrata fatta in Siena dalla Reale Altezza della Ser.ma Gran Principessa di Toscana Violante di Baviera, Sua Governatrice, lì 12 Aprile 1717 e Feste susseguentemente celebrate di Giuseppe Maria Torrenti, è turchino con nicchia concava senza corona.

1° aprile 1739 – Venuta a Siena del Granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena
In un disegno acquarellato risalente al 1740, opera di Pier Antonio Montucci custodito presso gli uffici comunali, è rappresentata la Veduta de’ portici eretti nella gran Piazza d’ordine dell’illustrissimo collegio di Balìa pel sospirato arrivo in questa città di Siena nel dì primo aprile 1739 del serenissimo granduca Francesco III colla augusta sua consorte Maria Teresa arciduchessa d’Austria. Nell’acquarello si individuano, dietro gli steccati, le bandiere di quattro Contrade, tra cui quella del Nicchio, tutta turchina con quattro gigli negli angoli che sembrano dorati e la nicchia concava al centro.

17 agosto 1749 – Palio fatto ricorrere dalla contrada dell’Aquila e vinto dal Nicchio

Nota in cui viene descritta la spennacchiera e il giubbetto del fantino del Nicchio: “con penna testiera e rosa di colore blù, brizzolata di giallo con tremolanti e specchio, fantino del medesimo colore col nicchio dorato, e coronato nelle spalle”.

14 maggio 1767 – Palio straordinario in onore della venuta a Siena del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo e della consorte Maria Luisa  
In un disegno acquarellato, probabilmente opera di Agostino Provedi, vengono raffigurati i figuranti delle dieci Contrade che parteciparono al Palio straordinario del 14 maggio 1767. Quello del Nicchio indossa un’uniforme militare turchina con mostre e rovesci gialli, galloni e alamari e bordo d’oro al cappello. 

1830 – Campione del vestiario dei fantini per le corse del Palio 
I Deputati della Festa del 1830 decisero in modo definitivo la foggia e i colori del vestiario con il quale i fantini dovevano presentarsi in Piazza, dato che “fino ad ora è stato fatto a capriccio dei capitani”. Il fantino del Nicchio doveva avere giubbetto e pantaloni turchini, con fascia e risvolti gialli, colletto rosso, polsini gialli e rossi, con elmo blu decorato di giallo e rosso. Anche i bozzetti a penna acquarellati dei nuovi costumi che vennero inaugurati nell’agosto del 1839, conservati presso l’Archivio comunale di Siena e probabilmente opera di Antonio Manetti, mostrano due monture turchine con decorazioni gialle e rosse e pennacchio del copricapo rosso.   

25 marzo 1859 – Deliberazione con i 32 bozzetti delle contrade
Nel bozzetto relativo alle monture del Nicchio si specifica “bleux scuro”, riconoscendo al Nicchio un tono di blu scuro diverso dal blu presente nei costumi delle altre Contrade.

13 luglio 1888 ministro della Real Casa di Sua Maestà – divisione 21 – Archivio di Stato di Roma
Si riporta la descrizione fatta dagli araldisti della Real Casa relativa allo stemma del Contrada del Nicchio, con la proposta di modifica che poi diventerà permanente:

“L’arme di un nicchio, coronato alla granducale, con due rami di coralli, decussati, che muovono dall’orecchio della valva dal quale pende una fibra di perle di corallo, il tutto al naturale.
Si propone di sostituire la fibra di coralli con un pendente formato da tre nodi di Savoia, d’oro, divisi da due rose, una di rosso a destra, l’altra d’argento a sinistra”.

21 aprile 2022 – Art. 3 del Capitolato della Nobile Contrada del Nicchio – Emblema e Colori
Si riporta la descrizione ufficiale tratta dall’art. 3 del vigente Capitolato della Contrada del Nicchio relativa al proprio stemma e ai propri colori:
“La Bandiera della Nobile Contrada del Nicchio è un campo di azzurro con figure araldiche d’oro e di rosso in parti uguali e minori dello smalto del campo.
Il suo emblema è una conchiglia sormontata da una corona Granducale, con due rami di corallo, moventi dall’orecchio della valva, e con un pendaglio formato da tre nodi di Savoia d’oro diviso da due rose di Cipro, una di rosso a destra e l’altra d’argento a sinistra”.

A cura di Roberto Cresti

Il Nostro Inno

O Nicchio, Nicchio bello

Contrada azzurra come il nostro cielo
dal mare cullata,
conchiglia di corallo coronata,

simile al Campo, ove si corre il Palio!
 Perciò la strada sai della vittoria
che spesso premia il tuo gran valor!

O Nicchio, Nicchio bello,
col tuo costume, desti ammirazion…
I tuoi contradaioli,
hanno passione, e si fanno rispettar…
Ed il sorriso di tue brune e bionde
nell’aria effonde eterno un nome: amor!
 Lo stesso amor che fremere farà,
se al bandierino prima ti vedrà!

Al rullo cupo del tuo tamburone
superba, incendi…
i tuoi velluti disinvolto porti
perché puoi far di nobiltade sfoggio.
Né dormi sugli allori conquistati,
fiera travolgi chi ti è rival!

O Nicchio, Nicchio bello,
col tuo costume, desti ammirazion…
I tuoi contradaioli,
hanno passione, e si fanno rispettar…
Ed il sorriso di tue brune e bionde
nell’aria effonde eterno un nome: amor!
 Lo stesso amor che fremere farà,
se al bandierino prima ti vedrà!

Inno Nobile Contradadel Nicchio
  • Inno Nobile Contrada

Si devono alla fantasia e all’estro di Carlo Sottili il testo e le note del nostro Inno, “Nicchio bello”, la cui genesi è piuttosto recente se paragonata ai cinque secoli trascorsi da quando la Compagnia dell’Abbadia Nuova di Sotto sfila in Piazza del Campo durante la caccia dei tori del 1506 gridando, scrive Cecchino Chartaio, “viva Nichio, Nichio, Nichio”.

La nostra amata marcetta fanfaristica in sei ottavi e quel “Contrada Azzurra come il nostro cielo, dal mare cullata” che sin da bambini siamo abituati a intonarci sopra, con orgoglio, quando alfieri e tamburini effettuano il Giro di onoranze lungo strade e piazze di Siena, nasce nel secondo Dopoguerra, o almeno in quegli anni assume i crismi dell’ufficialità. “La più bella vittoria”, numero unico edito dopo la vittoria dell’agosto 1957, dedica un’intera pagina al testo di “Nicchio bello”, citando appunto il Maestro Sottili quale autore. Le poche, frammentarie notizie su quest’ultimo si devono alla memoria di chi in quegli anni era suo allievo di musica (Sottili suonava il piano, la fisarmonica e anche il flicorno e dava lezioni private nella sua abitazione, che si trovava all’angolo tra via dei Percennesi e vicolo Di Tone), e la prima è che Carlo Sottili, nato nel 1901, non era un nicchiaiolo: era però un amante della città, delle sue tradizioni (per qualche tempo fu pure organista in Cattedrale), delle Contrade e del Palio, e questo, unito al fatto di essere un buon compositore (a lui si devono sia la rumba “Siena mia”, che animava le serate danzanti dell’epoca, sia il celebre folk di “Senesina”), fece sì che gli inni di altre quattro Contrade scritti in quel periodo portino in calce la sua firma.

Deve però passare ancora un po’ di tempo prima che i nicchiaioli prendano definitiva coscienza del loro inno e ne facciano, più o meno, l’uso che se ne fa oggi. L’anno è il 1965, l’occasione è data dal “Festival degli Inni di Contrada”, un Sanremo in salsa senese inventato da Silvio Gigli e celebrato al Teatro dei Rinnovati alla vigilia del Palio di Provenzano. È la miccia che accende nei Rioni la passione per gli inni, costringendo quella manciata di Contrade non ancora provviste a dotarsene in fretta e furia per far sì che l’Unione Bandistica Senese e l’Unione Corale Senese li suonino e cantino in un teatro che alla vista dei cronisti dell’epoca risulta “gremito ed entusiasta”.

Esiste una registrazione in vinile di quella serata, un 33 giri che molti senesi conservano ancora nelle loro case. Metterlo sul piatto del giradischi, appoggiare la puntina sul solco giusto e ascoltare “Nicchio bello”, più che un’operazione-nostalgia è una battaglia campale con l’attualità del suono digitale e dell’autotune, ma il boato che esplode in sala a fine esecuzione mette i brividi e conferma, oggi come allora, l’attaccamento ai nostri colori. E perché no, anche al nostro inno.

Inno Nobile Contrada del Nicchio vinile 33 giri    
  • Inno Nobile Contrada del Nicchio vinile 33 giri

Registrazione dell’ inno della Nobile contrada del Nicchio, Teatro dei Rinnovati, 26 giugno 1965. Eseguita dall’Unione Bandistica Senese, diretta dal M° Mario Neri e dall’ Unione Corale Senese diretta dal M° Adelmo Ammannati.

A cura di Matteo Tasso

Le Nostre Monture

Le monture, che devono il loro nome alla terminologia militare, fanno parte del grande patrimonio mobiliare in essere alla Contrada. I tessuti ed i materiali di pregio con cui sono fabbricate, la meticolosa cura nella ricerca del dettaglio e la maestria degli artigiani che vi hanno lavorato li rendono dei manufatti preziosi e di grande pregio. Un valore innegabilmente materiale ma anche assolutamente emozionale, data la somma dei sentimenti che investe sia chi le indossa, sia chi i propri colori vede indossare. Le monture, custodite gelosamente e con attenzione nei locali dell’economato, sono essenzialmente di tre tipologie – Piazza, rappresentanza e da fatica – e, nella sostanza, è l’uso al quale sono destinate che determina le differenze tra esse. Indipendentemente dall’impiego che ne verrà fatto, dietro ad ogni montura c’è comunque un lavoro minuzioso ed attento di progettazione, che non lascia niente al caso.

Le Monture di Piazza

Le monture di Piazza sono quelle di maggior pregio perché più grandiose ed eleganti e per questo realizzate con tessuti più ricchi e con una maggior attenzione al particolare. Sono diciannove e corrispondono ovviamente alla composizione della comparsa per la Passeggiata Storica che precede la corsa. Di queste tre sono armature in metallo ed appartengono al Duce e ai due Uomini d’Arme che lo fiancheggiano nello sfilare. Può essere considerata di diritto la ventesima la gualdrappa del cavallo che viene fatta indossare sulla schiena al barbero che, toccato in sorte, correrà il Palio. Il periodo medio di utilizzo delle monture di Piazza è di circa 20/25 anni, dopo di che vengono generalmente rinnovate insieme a quelle di tutto il Corteo Storico. L’ultimo rinnovo risale all’inizio del nostro secolo ed è quello del 2000, mentre andando a ritroso nel tempo abbiamo nel secolo scorso quelli del 1981, 1955, 1928 e 1904, preceduti dai due del 1800.

Le Monture da Fatica

Le monture del giro sono quelle da fatica e, se pur eleganti e comunque realizzate con grande cura nel progetto e nella scelta dei tessuti, sono volutamente meno sfarzose e sono circa centoventi, suddivise tra Alfieri e Tamburini. Le monture di questo tipo, che per destinazione d’uso si logorano ovviamente con più facilità, vengono rinnovate quando se ne presenta la necessità. Dopo i rinnovi degli anni ‘60 e degli anni ’70, i più recenti sono quelli del 1991 e del 2007, mentre l’ultimo in ordine di tempo è quello del 2023.

Le Monture di Rappresentanza  

Tra le une e le altre si collocano le cinque monture di rappresentanza, un trittico di un Tamburino e due Alfieri, un Paggio ed un Paggio di Rappresentanza. Sia nella ricchezza del tessuto sia nella ricerca delle rifiniture o dei particolari, come i copricapi, queste sono più eleganti di quelle da fatica ma comunque le richiamano nella foggia e, proprio per questo, vengono generalmente rinnovate insieme, se pur sottoposte ad un’usura minore. Il loro impiego è, infatti, per lo più riservato agli appuntamenti ufficiali della città in cui è richiesta la partecipazione delle Contrade o per le cerimonie della Contrada in cui il Rituale ne preveda l’uso.

In occasione del rinnovo del 2023 è stata approntata anche la nuova montura del barbaresco, destinata al prescelto che andrà a prendere il cavallo. Questa, a simboleggiare un’ ideale continuità tra esse, è volutamente cucita sia con i tessuti impiegati per le monture di Piazza sia con quelli usati per quelle da fatica, arricchita in più di una corazza in pelle ricamata che nella foggia e nel disegno richiami quelle in latta degli armati.

Tutte le monture in uso, insieme ai loro accessori, sono conservate nelle stanze dell’economato, custodite in armadi dedicati e suddivisi tra Piazza 2000 e giro 2023. Restano qui a disposizione anche le altre più recenti, dunque ad ora abbiamo quelle di Piazza del 1981 e quelle da fatica fino al 1991, pronte ad essere utilizzate al bisogno, ad esempio in caso di vittoria quando sarebbe più pratico farle indossare al posto di quelle che hanno sfiato il giorno precedente.

Le monture di Piazza più vecchie, anche in base agli spazi a disposizione, vengono invece custodite nel Museo della Contrada. Una volta destinate qui, passano sotto la gestione della Commissione Patrimonio Storico, Artistico ed Archivistico che le conserva senza poter più essere indossate, ma con l’unico scopo di generare memoria. Anche le monture da fatica più vecchie, se pur non esposte nell’area museale, vengono comunque conservate e trovano posto in arsenale.

Nella gestione delle monture come grande patrimonio della Contrada, è d’obbligo trovare un compromesso tra l’uso che ne viene fatto e il pregio dei loro materiali e della loro fattura, che si concretizza nella meticolosa manutenzione che viene loro dedicata. Indipendentemente dal tipo di montura, ognuna dopo l’uso è per prima cosa fatta asciugare. Successivamente viene lavato il lavabile e il resto viene pulito con cura. Un’attenta manutenzione è dedicata anche alle latte, lucidate con meticolosità prima di essere rimesse, così come agli accessori quali scarpe, cinture e parrucche che sono tutti sottoposti a vaglio dopo l’uso e prima di essere nuovamente rinchiusi nei guardaroba. La cura continua successivamente durante l’inverno, quando tutte le monture vengono nuovamente controllate con più calma per essere sistemate definitivamente, in attesa di essere nuovamente utilizzate.

A cura di Valentina Becatti e Alessandro Becatti 

Le Nostre Bandiere e i Tamburi

Raccontare cosa rappresenti davvero la bandiera per un contradaiolo non è semplice. “Le mie sorelle son bandiere, che svolazzano nel ciel”, recita uno stornello popolare senese. Questa strofa racchiude il legame profondo di ogni contradaiolo con la propria bandiera e l’orgoglio di appartenere alla contrada. La bandiera è il manifesto di tutti i sentimenti del contradaiolo, che accompagna ogni istante della sua vita, ne è parte integrante e rimarca ogni momento: nascita, battesimo contradaiolo, matrimonio, funerale. Nei giorni di festa risalta sventolando in tutto il territorio, nel cuore della Contrada, ai confini, per le strade, sulle case dei contradaioli. Allo stesso modo, il tamburo accompagna il fruscio della seta delle bandiere, precede l’arrivo della Contrada e ne scandisce i ritmi e i tempi. Ogni suono racchiude in sé un messaggio ben preciso: il suo rullo, che può risultare fastidioso per chi arriva da fuori Siena, si trasforma nelle orecchie del contradaiolo in un turbinio di emozioni, percepito come un suono gentile, di speranza, di festa, di guerra, di passione, di amore.

Le bandiere fanno parte della storia delle contrade e più in generale delle comunità urbane già dall’epoca medievale. In quell’epoca, infatti, a Siena ne facevano uso le compagnie militari, aggregazioni formate su base territoriale. Nei primi secoli dell’età moderna le contrade spiegavano le proprie insegne e battevano il tamburo in occasione delle parate ufficiali nel Campo, come quella in onore dell’arrivo della granduchessa Violante di Baviera. La contrada, tuttavia, li utilizzava anche in occasione dei momenti legati alla propria vita interna, per richiamare gli abitanti alle assemblee e alle questue, a conferma del possesso e delle proprie prerogative sul territorio.
La bandiera, fin dai primi momenti di vita della contrada, è l’insegna per eccellenza dietro alla quale si raccolgono le schiere in Piazza. Alle origini l’alfiere è scelto dall’assemblea e da questa viene incaricato a esibirla in occasione del corteo. Agli inizi della vita contradaiola il tamburo risuonava nelle strade e nelle piazze per chiamare all’assemblea e rimarcava la giurisdizione sul territorio già ricordata.

Solo a partire dall’Ottocento, con la normalizzazione del Corteo Storico, bandiere e tamburi diventeranno sempre più importanti nelle sfilate sul Campo. Fino a quell’epoca le contrade non affidavano, infatti, il proprio decoro alla ricchezza delle proprie monture, ma, come noto, a parate o comparse e carri allegorici con riferimenti alla storia romana, al mito classico, all’esotismo. L’importanza di bandiere e tamburi per il palio aumentò definitivamente a partire dal 1839, quando la comunità civica realizza il nuovo vestiario delle contrade secondo la foggia ‘degli antichi italiani’, dando un criterio d’uniformità che è rimasto tutt’oggi valido per il numero di figuranti. Le insegne assumono così ulteriore decoro ed eleganza, per dare un riconoscimento immediato alla contrada. A partire da questo periodo si sviluppa la sbandierata come oggi la conosciamo, come complesso dei vari giochi eseguiti dagli alfieri al ritmo cadenzato del tamburino.

A cura di Filippo Pozzi e Valentina Biagini

Come nasce una Bandiera

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Riprese realizzate da Canale 3 Toscana

Nella Nobile Contrada del Nicchio le bandiere in seta, utilizzate per le occasioni ufficiali, vengono realizzate artigianalmente dalla Scuola delle Bandieraie, un gruppo di contradaiole di tutte le età che, su base volontaria, crea questi pregiati manufatti e ne assicura la loro manutenzione. Le bandieraie si ritrovano nelle stanze della Contrada soprattutto in inverno, perché con l’aumentare delle temperature, il caldo rende difficile la lavorazione della seta e il sudore delle mani rischierebbe di macchiarla. Le più esperte aiutano e insegnano alle più giovani l’arte di cucire le bandiere, tramandando questa tradizione tra le generazioni.

L’araldica della bandiera del Nicchio è più complessa rispetto a quella delle bandiere di altre contrade poiché comprende, in aggiunta alle parti in seta cucite tra di loro (ovvero la greca e i coralli rossi, la nicchia e le stelle gialle), anche una parte di ricamo (la corona, i nodi sabaudi e le rose di Cipro bianche e rosse) che la rende unica nel suo genere e, inoltre, la nicchia viene dipinta rigorosamente a mano sulla seta bianca dai pittori di contrada: non esistono due nicchie uguali e ognuna riflette la mano del suo autore. La Scuola dei Pittori nasce proprio con lo scopo di impreziosire ulteriormente le bandiere con un prodotto artigianale realizzato in contrada e ha caratteristiche simili a quella delle bandieraie: anche in questo caso è composta da contradaioli che si specializzano nella pittura della nicchia su seta, imparando la tecnica dai più esperti.

Il tempo necessario a completare una bandiera varia a seconda della manualità e dell’esperienza della bandieraia, che ne cura con precisione e pazienza ogni singolo dettaglio. Lo stesso si può dire per la creazione di una nicchia dipinta. Tutte queste operazioni sono effettuate per lo più da persone che nella vita hanno scelto altre professioni, ma che prestano il loro tempo e la loro manualità per poter servire la Contrada e tramandarne le tradizioni.

A cura di Letizia Guerrini e Valentina Biagini

Tramandare la tradizione: Il Corso alfieri e tamburini

“La bandiera ti accoglie appena nasci, sventolando alla finestra sopra il museo col fiocco rosa o azzurro in cima… poi cresci, il babbo e la mamma ti regalano il tamburino, che ti diverti tanto a suonare per far confusione… pochi anni dopo è il momento di imparare sul serio, e si comincia a suonare e a “fare l’otto” tutti insieme sotto l’occhio vigile ed esperto dei veterani… e poi a sognare di poter entrare in Piazza con la montura della tua contrada… allenarsi duramente, tutti i giorni, nei momenti più impensabili, solo perché hai una passione incredibile dentro, fino a trovarti sul tufo con il tamburo o la bandiera…”

Filippo Pozzi

Avviati annualmente in coincidenza delle prime giornate di primavera, i corsi per alfieri e tamburini sanciscono il termine della stagione invernale facendo largo alla stagione estiva o, a Siena, ‘paliesca’. In ogni contrada gli allenamenti si svolgono all’interno del proprio territorio in spazi preferibilmente ampi, a cielo aperto e sotto la supervisione dei maestri di bandiera e tamburo, solitamente alfieri e tamburini che abbiano calpestato almeno una volta in queste vesti il tufo di Piazza durante il Corteo Storico. La partecipazione è aperta a tutti i contradaioli, con particolare riguardo verso i più piccoli, ma senza prevedere limiti di età. Nella Nobile Contrada del Nicchio i corsi si svolgono nei giardini appartenenti alla Società La Pania, nella cosiddetta ‘Valle’, luogo prediletto grazie alla morbidezza del manto erboso (utile ad evitare la rottura delle bandiere in caso di caduta durante le prime fasi dell’apprendimento), alla grandezza dello spazio e alla vista dalla terrazza della Società, che si offre come un auditorium naturale per genitori, amici e curiosi.

Queste giornate sono dunque dedicate all’insegnamento dell’arte di “girare” la bandiera e suonare il tamburo.

Le due pratiche hanno origine rituale e marziale antichissima. Ne fa cenno Sun Tzu attribuendole alla strategia militare: “La voce non viene udita in battaglia: usa tamburi e gong. L’occhio non discerne: usa bandiere e stendardi” (Cina, VI-V a.C.); mentre il tamburo – l’antico tympanon – passa dai culti anatolici di Attis ai misteri eleusini, fino all’uso militare arabo esportato in Europa nell’alto medioevo, testimoniando un’origine mistico/rituale (il suono reiterato e monotono facilita l’ingresso in stato di trance) poi completamente perduta (se non in alcune società, es. i tamburi magici lapponi e siberiani), la bandiera ha invece mantenuto per millenni la sua funzione tattica o di rappresentanza identitaria. Dalla custodia dell’aquilifer a quella dei reparti militari cui ancora oggi è affidata la Bandiera di guerra, è sempre stata gelosamente custodita e causa di incredibile scandalo in caso di smarrimento. Un valore certamente accostabile a quello che le conferisce ogni contradaiolo. Al contrario dello sbandieratore, figura che nella contemporaneità ha assunto una dimensione artistica o sportiva, l’alfiere rappresenta ancora un grado dell’esercito come ufficiale porta insegna in molte delle forze armate mondiali.

Il trattato del 1638 di Francesco Ferdinando Alfieri “La Bandiera” si staglia tra le fonti come un dizionario di movimenti per bandiera, corredato da illustrazioni che ne chiariscono le dinamiche. Da questo potrebbe aver preso forma più coerente l’insieme delle figure che costituiscono ancora oggi i volteggi di bandiera sfoggiati dagli alfieri senesi.

Se pur con stile diverso e movimenti talvolta più veloci, aperti o plateali, che cambiano da contrada in contrada e persino di generazione in generazione all’interno della stessa, le principali componenti delle sbandierate senesi sono inserite nella cosiddetta “sbandierata semplice”: presentazione della bandiera, Velata, passaggio di vita, Ancalena, Rosa, Cartoccio, Alzata, Ripresa. Forme più complesse, con scambi ed evoluzioni di bandiere in aria, si annoverano invece nel repertorio della “sbandierata di Piazza”, che si svolge durante il Corteo Storico in Piazza del Campo, ripetuta per tre volte dai figuranti delle contrade che partecipano alla corsa. Il tamburo accompagna i movimenti con trenini, stacchi, rullini e rulli, sottolineando con questi ultimi i momenti più spettacolari e difficili della sbandierata (scambi, salto del fiocco, alzata). Da posizione in posizione gli alfieri si muovono effettuando con la bandiera un volteggio definito “otto”, che consiste nel disegnare il numero in aria con la punta del vessillo, accompagnati dal suono del tamburo che segna il tempo di marcia attraverso tre passi: passo di marcia, passo a vittoria, passo della Diana (o di Piazza). Il livello tecnico necessario per compiere queste arti secondo gli ideali di eleganza, gentilezza e compostezza, ha creato una specializzazione dei figuranti: è assai raro vedere un alfiere vestire anche i panni di tamburino o viceversa.

Il coronamento dei mesi di allenamento si raggiunge sfilando in primo luogo durante il Giro di onoranze in occasione della Festa Titolare. In seguito, chi spicca per estro, tecnica e sincronicità può aspirare ad “entrare in Piazza”, ovvero figurare nel Corteo Storico e compiere la “sbandierata di Piazza” di cui sopra. Per garantire organicità alla ‘passeggiata’ che precede le carriere, dal 1950 il genio del Palio ha previsto la consegna di un premio annuale, il ‘Masgalano’, alla comparsa che si è particolarmente distinta per precisione e compostezza, due valori calcolati seguendo un complesso sistema di punteggio. Dal 1973 è organizzato dalla Contrada della Torre anche il ‘Minimasgalano’, evento con premiazione che si svolge in ottobre, in piazza del Campo, ideato per l’esibizione dei giovani alfieri e tamburini (non devono avere compiuto quattordici anni) più promettenti. Esistono altri due premi, ai migliori alfieri e al miglior tamburino, creati in rarissime occasioni per onorare il ricordo di ex figuranti illustri.
Le due arti insieme accompagnano molte delle occasioni rituali che si svolgono nella città, rappresentando la viva partecipazione delle sue componenti più peculiari, le contrade, ai momenti – sacri o laici che siano – considerati di notevole importanza per tutta la comunità senese.

A cura di Jacopo Filippini

Passo della Diana

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Passo di Piazza

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Passo a Vittoria

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Stamburata

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Tata-mama

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Tamburino Mirko Mazzacuva