La Stalla
Ogni contrada custodisce all’interno del proprio territorio un locale totalmente adibito all’ospitalità, all’accoglienza e al benessere del cavallo durante i giorni di Palio. È la stalla, luogo permeato di un fascino del tutto unico e particolare che, con l’evoluzione dei tempi e il passare degli anni, si è letteralmente trasformato: da vere e proprie stalle (nel senso letterale del termine), ricavate con mezzi di fortuna in auto-rimesse, fondi e garage, oggi li possiamo definire come locali dove tutto è pensato e calcolato per far star bene il cavallo dal momento in cui viene accolto e preso in custodia dalla Contrada.
Del resto, è noto, che è il cavallo il protagonista principale del Palio. E come tale viene trattato. La stalla oggi è un ambiente salubre, pulito, sano e predisposto con assoluta dovizia di particolari per il benessere dell’animale. La stalla è inoltre dotata di tutto l’occorrente che serve a prendersi cura dell’animale da parte di Barbareschi, staff Palio, veterinari e maniscalchi (figure anche queste evolute nel corso del tempo). Sia di giorno come di notte. Il cavallo non viene mai abbandonato ed è altresì coccolato e accudito con amorevole e continua attenzione.
La stalla della Nobile Contrada del Nicchio è un fiore all’occhiello in tal senso. Si trova all’interno dell’hangar dell’ex caserma di Santa Chiara, i cui locali sono stati concessi alla Contrada da parte del Ministero della Difesa a partire dal 2013 (locati poi nel 2015), ed è dotata di tutti i confort che un animale possa desiderare. Sia all’interno, dove troviamo due grandi box da scuderia, che all’esterno dove spazi verdi, alberi e l’ampio piazzale di fronte all’hangar garantiscono aree di movimento piuttosto estese al cavallo. Dietro la struttura c’è anche un prato riparato, dove l’animale può rilassarsi “in totale privacy”.
Gli altri locali della stalla, molto ampi anche quelli, sono riservati allo staff palio, con sedute, brande, servizi igienici e altri spazi accessori che servono ai barbareschi per prendersi cura del cavallo, al fantino per controllare e osservare l’animale, al capitano e ai mangini per impostare il lavoro dei 4 giorni di Palio.
<span data-metadata=""><span data-buffer="">Il Barbaresco
Il barbaresco viene nominato dal capitano. È un incarico che può coincidere con la durata della capitaneria ma può anche andare oltre. Nel corso degli anni, il ruolo di barbaresco ha assunto una valenza strategica rilevantissima. È possibile oggi considerarlo un semiprofessionista, o quantomeno una persona esperta di cavalli, che lavora al fianco di fantino, veterinario e maniscalco, in sinergia con capitani e mangini, per far arrivare il cavallo a correre il Palio nelle migliori condizioni psico-fisiche possibili.
Ufficialmente, la figura del barbaresco appare per la prima volta nel 1839, quando venne deciso che durante la passeggiata storica il barbero dovesse essere accompagnato a mano. Appunto dal barbaresco. Il fantino, invece, da lì in poi, avrebbe montato un soprallasso.
Nel corso del tempo, la figura del barbaresco ha avuto un’evoluzione notevole. Al pari dei compiti e delle mansioni che gli vengono via via assegnate. Un tempo, le contrade affidavano questo ruolo a contradaioli appassionati di cavalli ma poteva accadere anche di doversi rivolgere a persone esterne che, per questo, ricevevano un compenso. Siamo nella prima metà del ‘900 e i barbareschi erano figure che si occupavano a tutto tondo della salute del cavallo, con metodi appresi in itinere, in alcuni casi anche poco ortodossi.
Nel corso del tempo però questa figura si è sempre più specializzata, facendo crescere le proprie competenze in merito a salute e benessere animale. Dagli anni ’70 in poi, nelle contrade si sono avviate collaborazioni con veterinari di fiducia che assistono e affiancano i barbareschi nella cura dei cavalli; qui arrivano anche altre figure: dai guardia-fantini, addetti alla sorveglianza del fantino nei 4 giorni, ai maniscalchi di contrada. Infatti, fino agli ’80 circa, chi correva il Palio poteva avvalersi di un unico maniscalco che il Comune di Siena metteva a disposizione per tutte le contrade.
Oggi il barbaresco collabora con tutte queste figure. In alcuni casi è presente anche un pranoterapeuta che si prende cura degli arti del cavallo.
Le cariche attuali
Barbaresco: Paolo Pianigiani
Vice barbareschi: Giacomo Braccagni, Davide Giannini
La storia della stalla del Nicchio
Prima dell’attuale e definitiva sistemazione, la stalla del Nicchio ha avuto varie destinazioni, un po’ per la disponibilità di rimesse per cavalli presenti nel territorio, un po’ per una maggiore pragmaticità nella custodia del barbero. Lo spazio attuale è frutto di una lunga serie di trasformazioni e spostamenti che hanno condotto la stalla ad essere inserita all’interno del Santa Chiara a partire dal 2013 prima, nei locali dove si tengono le assemblee e i convivi invernali, e dal 2015 dove la si può trovare anche oggi.
La ricostruzione di questi spostamenti è puntuale a partire dalla metà degli anni ’50, mentre è frammentaria e maggiormente episodica negli anni precedenti, dove vede toccare quasi tutti i luoghi significativi del rione: da Santo Spirito a Santa Chiara, da Fieranuova a via dei Pispini.
Nel 1934, sembra che per custodire Lampo sia stata usata la stalla di un certo vetturino Leoniero, mentre nel 1947 Salomè (vittorioso a luglio, montato da Giuseppe Gentili detto Ciancone) trovò sistemazione al civico 77 di via dei Pispini. Nel 1953, Turbolento fu accolto in un fondo vicino al forno davanti ai ferri di Santo Spirito, ma più spesso in quegli anni era utilizzata una delle numerose stalle private ancora esistenti in Fieranuova.
Le testimonianze dei nicchiaioli del tempo dicono che, nei primi anni ’50, la stalla si fosse trovata davanti a dove oggi c’è la cosiddetta “Stanza dei Braccialetti” (in Via dei Pispini, n. 37). Un locale poco funzionale e addirittura sprovvisto di corrente elettrica: per esempio, per illuminare la stanza, occorreva calare una lampadina con una prolunga dagli appartamenti soprastanti.
Nel 1954 venne ricavata la Stallina, proprio accanto alla società La Pania. E lì la stalla assunse la veste che conosciamo oggi a partire dal 1957, per merito di Leonardo Giovannetti. Stiamo parlando di un locale piccolo che rappresenta una vera e propria gemma nel cuore del rione. Era però limitata e poco funzionale: ci passava appena il cavallo ed era anche poco adeguata a far mangiare l’animale. Ma ciò nonostante in quel periodo arrivarono 3 vittorie: il 16 agosto 1957, con Giorgio Terni detto Vittorino su Belfiore; il 16 agosto 1960, con Vittorino su Uberta de Mores; e in occasione del Palio straordinario del 5 giugno 1961, ancora con la stessa accoppiata (Vittorino e Uberta).
Pochi anni dopo, proprio per esigenze funzionali e per evitare di far stare il cavallo praticamente all’interno della società, la stalla venne spostata nella zona di Santo Spirito, nei giardini dietro Palazzo Memmi. Il primo cavallo ad essere ospitato fu Leda, nel luglio 1969, mentre il 16 agosto dello stesso anno arrivò la vittoria con Donato Tamburelli detto Rondone che montava il forte Topolone. L’ultimo cavallo ad “albergare” in quella zona fu Pitagora (luglio ‘73).
Fino al 1976, la stalla subì un passaggio provvisorio nella zona di Santa Chiara. Dapprima vicino all’ingresso della caserma, che al tempo era ancora attiva, poi in un’altra rimessa più vicina a via dei Pispini per poter avere un più comodo approvvigionamento idrico. Come si può facilmente capire, si trattava di sistemazioni occasionali, dove solo grazie alla collaborazione dei contradaioli che abitavano nel rione, si riuscivano a trovare dei locali via via da adibire a stalla. Così, alla fine degli anni ’70, la stalla trovò ospitalità nel fondo della famiglia Maccherini, in via dei Pispini, all’incirca tra i civici 80 e 90.
Fu quello il teatro del celebre “ritorno di Balente”, barbero vittorioso per i colori del Nicchio il 16 agosto 1981, montato da Adolfo Manzi detto Ercolino. L’anno successivo, il cavallo toccò in sorte al Leocorno: rimasto scosso durante dalla corsa, uscì da Piazza e corse lungo tutta via Pantaneto senza fermarsi se non quando arrivò nel Nicchio, di fronte alla stalla nel fondo dei Maccherini. Un evento che i nicchiaioli del tempo ricordano con commozione e trasporto.
Ma la stalla non si fermò, anzi. Nel 1983 tornò nell’attuale stanza dei Braccialetti, in un garage della famiglia Giachetti (il primo ospite fu Baiardo IV) e in quel periodo arrivarono due vittorie: il 16 agosto 1984, con Salvatore Ladu detto Cianchino su Orion, e il 2 luglio 1988, con Massimo Coghe detto Massimino II su Benito.
Nel 1990 la stalla si spostò locali che oggi sono di proprietà della residenza assistita del Butini Burke (Via dei Pispini, 160): i barberi Gaucho de Ozieri, Orchidea e Yanez vennero accolti lì. Fu una destinazione non particolarmente fortunata, ricordata soprattutto per il rumore dei dopo-partita dei mondiali di Italia ‘90 e per la vigile ronda degli “accampati” agli ex-lavatoi nell’attuale piazzetta Mario Cioni.
Nel 1992 la stalla venne spostata nuovamente di fronte all’attuale stanza dei Braccialetti, nei locali dell’ex forno Perla (via dei Pispini, 56, accanto a chiesa e museo). Pinturetta fu la prima ospite di quei locali che si consacreranno a gloria con Re Artù, barbero vittorioso il 16 agosto 1998, montato da Dario Colagè detto Il Bufera.
Poi, con la progressiva concessione degli spazi dell’ex caserma di Santa Chiara da parte dei Parà, la stalla ha trovato sistemazione all’interno dell’Hangar dal 2013 con tutti i comfort e le comodità di cui dicevamo in precedenza. Il primo cavallo ad essere ospitato in Santa Chiara è stato Morosita Prima.
La benedizione della stalla
Nel Nicchio, così come nelle stalle delle altre 16 consorelle, la stalla viene benedetta ogni anno nel giorno del 17 gennaio, data in cui si celebra Sant’Antonio abate, protettore degli animali.
Vissuto in Egitto tra il III e il IV secolo, Sant’ Antonio abate fu un longevo monaco eremita, morto all’incredibile età di 105 anni, da cui discendono tutti gli ordini religiosi omologhi. Fu reputato essere potente taumaturgo capace di guarire malattie terribili.
Sant’Antonio è considerato il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.
La tradizione di benedire gli animali (in particolare i maiali) non è legata direttamente al santo: nasce nel Medioevo in terra tedesca, quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale da destinare all’ospedale, dove prestavano il loro servizio i monaci di sant’Antonio.
Secondo una leggenda proveniente dal nord Italia (Veneto ed Emilia, in particolare), la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio e si racconta di un contadino che, preso dalla curiosità di sentire le mucche parlare, morì per la paura.
A cura di Andrea Frullanti