Nobile Contrada del Nicchio

La Nostra Storia

XIII secolo

Il territorio della Nobile Contrada del Nicchio è tra quelli di più recente formazione nel tessuto urbano di Siena, ubicandosi ancora all’esterno della cinta muraria edificata tra la fine del XII e i primi anni del XIII secolo. Il rione cominciò a svilupparsi all’inizio del Duecento nell’area compresa fra la chiesa di San Giorgio e il “poggio Farolfi”, dove più tardi si costruirà il complesso conventuale di Santo Spirito, e lungo l’arteria di collegamento tra Siena e Arezzo, ossia l’odierna via dei Pispini. Nel giro di pochi anni dovette ingrandirsi notevolmente e in un documento del 1244 si parla già di un “borgo dell’Abbadia Nuova”, segno che si stava espandendo intorno all’abbazia vallombrosana di San Giacomo e Filippo, detta appunto Abbadia Nuova, e nel piano di San Viene. Entro la fine del Duecento il rione dei Pispini aveva ormai raggiunto una struttura simile all’odierna, tant’è che fra il XIV e i primissimi anni del XV secolo fu completamente incluso all’interno della nuova cerchia muraria.

Intorno alla metà del Duecento gli uomini dell’Abbadia Nuova si inquadrarono in una delle oltre venti società delle armi della città, detta della “Stella”. Queste erano delle associazioni di armati, di norma sia fanti che cavalieri, con una propria base territoriale.

XIV secolo

Con l’avvento del regime dei Nove, le società delle armi si trasformarono nelle compagnie del popolo, che furono riorganizzate e istituzionalizzate nel 1310. Queste assolvevano a diverse funzioni, sia di difesa urbana che di natura amministrativa. Nel rione dell’Abbadia Nuova si formarono due compagnie, attestate sin dagli anni Trenta del XIV secolo: quella dell’Abbadia Nuova di sopra e l’altra dell’Abbadia Nuova di sotto. A causa del forte decremento demografico seguito alla peste del 1348, l’anno dopo il Consiglio Generale del Comune di Siena dovette diminuire il numero delle compagnie, unificando le due presenti nel rione in una sola, detta dell’Abbadia Nuova, che mantenne l’arme e il vessillo dell’Abbadia Nuova di sopra. Il provvedimento fu di breve durata e già nel 1357 le compagnie, talvolta definite anche società, salirono al numero di quarantadue, tra le quali anche quelle dell’Abbadia Nuova di sopra e di sotto. 

XV secolo

Dai primi decenni del XV secolo si cominciò a redigere i registri delle compagnie, ormai consolidate nel numero di quarantadue, contenenti i nominativi di tutti gli ufficiali della Repubblica senese, dai Capitani del Popolo ai Gonfalonieri maestri fino agli ufficiali delle società. Il più antico conservato presso l’Archivio di Stato di Siena risale al 1420. Questi registri riportano anche la descrizione araldica dei gonfaloni delle compagnie, definiti proprio in quel periodo, visto che i loro stemmi furono sistemati anche nel basamento della lupa nutrice in bronzo commissionata nel 1429 a Giovanni di Turino e posizionata su una colonna all’esterno dell’ingresso di Palazzo Pubblico (oggi al Museo Civico). L’insegna araldica della compagnia dell’Abbadia Nuova di sopra è descritta come di seguito: “Campus rubeus cum duobus listis albi et cum duobus stellis albi in dicto campo”. Si noti che in questo vessillo comparivano due stelle bianche, probabilmente eredi dell’emblema della duecentesca società della Stella. Il gonfalone della compagnia dell’Abbadia Nuova di sotto, invece, è descritto nei registri come di seguito: “Campus rubeus cum una lista ad spinos azurri et albi et duobus nichis albi in dicto campo”. Da osservare che il campo di entrambe le insegne araldiche era di colore rosso, che in origine caratterizzerà i costumi e la bandiera del Nicchio. Inoltre in questo stemma comparivano una fascia spinata bianca e azzurra, che dal tardo Seicento diventerà il colore prevalente dell’emblema della Contrada, e soprattutto due “nicchi” bianchi, che già ai primi del Cinquecento daranno la denominazione e diventeranno il simbolo del vessillo nicchiaiolo. La presenza dei “nicchi” può essere spiegata con il fatto che nel territorio dell’Abbadia Nuova di sotto si trovava il monastero di San Giacomo, e che la conchiglia (“pecten jacobeus”) costituiva il simbolo per eccellenza dell’avvenuto pellegrinaggio sulla sua tomba a Santiago de Compostela in Galizia.
Fu proprio nel corso del Quattrocento che cominciarono a comparire le Contrade con i nomi attuali (Chiocciola, Giraffa, Drago), ossia quando ancora esistevano le compagnie. I due organismi coesistettero per oltre un secolo, visto che quest’ultime scomparirono con la caduta della Repubblica senese. È, quindi, errato ritenere che le Contrade moderne siano le dirette discendenti delle compagnie, come si è sostenuto per molto tempo. Più verosimilmente le Contrade nacquero per partecipare e animare i giochi pubblici che, appunto dal XV secolo, si disputavano nel Campo, prima le pugne (nel periodo di carnevale), poi le cacce dei tori, già in onore della Madonna Assunta. A formarle furono gli uomini di compagnie limitrofe, che si riconobbero in un territorio più ampio di quello delle singole società, ossia in specifici “rioni” che esistevano da secoli intorno alle parrocchie. Brigate, come talora vengono definite nelle più antiche attestazioni, che nel tempo cementarono la solidarietà di gruppo e l’identità di fazione, tipico delle Contrade sin dalle loro origini.

XIII secolo

Il territorio della Nobile Contrada del Nicchio è tra quelli di più recente formazione nel tessuto urbano di Siena, ubicandosi ancora all’esterno della cinta muraria edificata tra la fine del XII e i primi anni del XIII secolo. Il rione cominciò a svilupparsi all’inizio del Duecento nell’area compresa fra la chiesa di San Giorgio e il “poggio Farolfi”, dove più tardi si costruirà il complesso conventuale di Santo Spirito, e lungo l’arteria di collegamento tra Siena e Arezzo, ossia l’odierna via dei Pispini. Nel giro di pochi anni dovette ingrandirsi notevolmente e in un documento del 1244 si parla già di un “borgo dell’Abbadia Nuova”, segno che si stava espandendo intorno all’abbazia vallombrosana di San Giacomo e Filippo, detta appunto Abbadia Nuova, e nel piano di San Viene. Entro la fine del Duecento il rione dei Pispini aveva ormai raggiunto una struttura simile all’odierna, tant’è che fra il XIV e i primissimi anni del XV secolo fu completamente incluso all’interno della nuova cerchia muraria. Intorno alla metà del Duecento gli uomini dell’Abbadia Nuova si inquadrarono in una delle oltre venti società delle armi della città, detta della “Stella”. Queste erano delle associazioni di armati, di norma sia fanti che cavalieri, con una propria base territoriale.

XIV secolo

Con l’avvento del regime dei Nove, le società delle armi si trasformarono nelle compagnie del popolo, che furono riorganizzate e istituzionalizzate nel 1310. Queste assolvevano a diverse funzioni, sia di difesa urbana che di natura amministrativa. Nel rione dell’Abbadia Nuova si formarono due compagnie, attestate sin dagli anni Trenta del XIV secolo: quella dell’Abbadia Nuova di sopra e l’altra dell’Abbadia Nuova di sotto. A causa del forte decremento demografico seguito alla peste del 1348, l’anno dopo il Consiglio Generale del Comune di Siena dovette diminuire il numero delle compagnie, unificando le due presenti nel rione in una sola, detta dell’Abbadia Nuova, che mantenne l’arme e il vessillo dell’Abbadia Nuova di sopra. Il provvedimento fu di breve durata e già nel 1357 le compagnie, talvolta definite anche società, salirono al numero di quarantadue, tra le quali anche quelle dell’Abbadia Nuova di sopra e di sotto.

XV secolo

Dai primi decenni del XV secolo si cominciò a redigere i registri delle compagnie, ormai consolidate nel numero di quarantadue, contenenti i nominativi di tutti gli ufficiali della Repubblica senese, dai Capitani del Popolo ai Gonfalonieri maestri fino agli ufficiali delle società. Il più antico conservato presso l’Archivio di Stato di Siena risale al 1420. Questi registri riportano anche la descrizione araldica dei gonfaloni delle compagnie, definiti proprio in quel periodo, visto che i loro stemmi furono sistemati anche nel basamento della lupa nutrice in bronzo commissionata nel 1429 a Giovanni di Turino e posizionata su una colonna all’esterno dell’ingresso di Palazzo Pubblico (oggi al Museo Civico). L’insegna araldica della compagnia dell’Abbadia Nuova di sopra è descritta come di seguito: “Campus rubeus cum duobus listis albi et cum duobus stellis albi in dicto campo”. Si noti che in questo vessillo comparivano due stelle bianche, probabilmente eredi dell’emblema della duecentesca società della Stella. Il gonfalone della compagnia dell’Abbadia Nuova di sotto, invece, è descritto nei registri come di seguito: “Campus rubeus cum una lista ad spinos azurri et albi et duobus nichis albi in dicto campo”. Da osservare che il campo di entrambe le insegne araldiche era di colore rosso, che in origine caratterizzerà i costumi e la bandiera del Nicchio. Inoltre in questo stemma comparivano una fascia spinata bianca e azzurra, che dal tardo Seicento diventerà il colore prevalente dell’emblema della Contrada, e soprattutto due “nicchi” bianchi, che già ai primi del Cinquecento daranno la denominazione e diventeranno il simbolo del vessillo nicchiaiolo. La presenza dei “nicchi” può essere spiegata con il fatto che nel territorio dell’Abbadia Nuova di sotto si trovava il monastero di San Giacomo, e che la conchiglia (“pecten jacobeus”) costituiva il simbolo per eccellenza dell’avvenuto pellegrinaggio sulla sua tomba a Santiago de Compostela in Galizia.
Fu proprio nel corso del Quattrocento che cominciarono a comparire le Contrade con i nomi attuali (Chiocciola, Giraffa, Drago), ossia quando ancora esistevano le compagnie. I due organismi coesistettero per oltre un secolo, visto che quest’ultime scomparirono con la caduta della Repubblica senese. È, quindi, errato ritenere che le Contrade moderne siano le dirette discendenti delle compagnie, come si è sostenuto per molto tempo. Più verosimilmente le Contrade nacquero per partecipare e animare i giochi pubblici che, appunto dal XV secolo, si disputavano nel Campo, prima le pugne (nel periodo di carnevale), poi le cacce dei tori, già in onore della Madonna Assunta. A formarle furono gli uomini di compagnie limitrofe, che si riconobbero in un territorio più ampio di quello delle singole società, ossia in specifici “rioni” che esistevano da secoli intorno alle parrocchie. Brigate, come talora vengono definite nelle più antiche attestazioni, che nel tempo cementarono la solidarietà di gruppo e l’identità di fazione, tipico delle Contrade sin dalle loro origini.

16 Agosto 1506

Presumibilmente alla fine del XV secolo, anche gli uomini delle compagnie dell’Abbadia Nuova di sopra e di sotto si unirono nella Contrada del Nicchio per prendere parte alle pubbliche feste della città, desumendo colori, simboli araldici e denominazione dai gonfaloni delle due società. In quel periodo le Contrade cominciarono ad animare le cacce dei tori, che si disputavano il 15 agosto in occasione della festività di Maria Assunta. La prima ad essere documentata con dovizia di dettagli è la caccia del 16 agosto 1506, posticipata di un giorno a causa della pioggia, perché vi assistette un anonimo fiorentino che la descrisse vivacemente in un poema di 132 stanze redatto in ottava rima, intitolato La festa che si fece in Siena a dì XV di agosto MDVI. La tauromachia fu combattuta da dodici Contrade, che prima di iniziarla sfilarono nell’anello di Piazza con la propria macchina e rappresentanza. Tra esse anche il Nicchio, che fece il suo ingresso dalla bocca del Casato per quinto, qui menzionato per la prima volta con il suo nome moderno e descritto dall’anonimo con questi versi:

"Drieto a chostoro seguitano Etiopi ch’eran più neri che carbone spenti, nera la lor liviera convien copi e pieni d’oro con degno ornamenti e non parevan di tel oro inopi che gl’ànno dele gioie conpimento e targhe avìen con più d’uno spichio e van gridando “viva Nichio, Nichio, Nichio”. El capo caccia lor si chiama Antonio di Lodovico di Mucco gentile e ben che nero sia più che ‘l dimonio era d’ingegno e d’animo verile, in ogni sua faccenda assai idonio, buona presentia magna e signorile e la bandiera fiera in campo rosso un nicchio biancho dal suo pesce scosso."

Per l’occasione i nicchiaioli erano vestiti da Etiopi e perciò si erano tinti di nero. La loro bandiera era rossa con al centro una nicchia bianca priva dell’animale (“del suo pesce scosso” scrive il compositore). Capocaccia era Antonio di Lodovico di Mucco, ossia della famiglia Mucci, che fornirà altri ufficiali alla Contrada nei decenni successivi, registrata dalle fonti fiscali dell’epoca nella compagnia dell’Abbadia Nuova di sotto.


Immagine: Raffigurazione dell’alfiere del Nicchio per la caccia dei tori del 1506 realizzato da Riccardo Manganelli.

15 agosto 1546

Il Nicchio gareggiò anche nella più spettacolare e meglio documentata tra le cacce cinquecentesche, quella del 15 agosto 1546, l’ultima grande festa senese prima della caduta della Repubblica, alla quale parteciparono sedici Contrade, assente solo la Tartuca. La festa fu minuziosamente narrata da Cecchino cartaio in una lettera indirizzata il 20 agosto di quell’anno alla “nobilissima et onorata madonna Gentile Tantucci”, dal titolo La Magnifica & honorata Festa, fatta in Siena, per la Madonna d’Agosto, l’Anno 1546. La comparsa del Nicchio, entrata in Piazza per settima, era composta da ottantotto uomini vestiti in livrea turchina con banda rossa, ai quali si aggiungevano venti uomini a cavallo che seguivano il capocaccia. La lettera di Cecchino fu ristampata nel 1582 con alcune difformità rispetto alla prima edizione. La più clamorosa riguarda la presenza della Tartuca, qui menzionata a differenza dell’originale, ma anche nella descrizione della comparsa nicchiaiola si possono notare delle differenze: “veniva la contrada del Nicchio, in livrea tutta rossa, in numero di sessant’otto, con una gran machina in forma di Nicchio, sopra la quale era un Nettuno col Tridente, sotto il Capo Caccia Claudio di ser Domenico, vestito di cremisi con raccami doro con suoi staffieri assai ornati. L’insegna loro era tutta rossa, portata da Pauolo Trombetto, vestito di cremisi cò trine doro”. A parte il minor numero di “monturati”, nella ristampa si descrive la livrea completamente rossa e non turchina con banda rossa; in entrambe le versioni, invece, la bandiera è tutta rossa. In questo modo tre anni dopo, nel 1585, Vincenzo Rustici rappresenta la comparsa e il vessillo del Nicchio nei due celebri dipinti ad olio su tela che rappresentano il corteo e la caccia del 1546. Riguardo ai due contradaioli citati, nessuna notizia è reperibile su Claudio di Domenico, mentre l’alfiere, il trombetto Paolo, tre anni dopo risultava iscritto nei registri della compagnia dell’Abbadia Nuova di sopra per un modesto imponibile di 100 lire. Dal registro dei quattro Provveditori della festa veniamo a sapere che al “Nichio” vennero consegnate 28 lire (e 14 alla Chiocciola) vista “la povertà de la contrada […] per poter fare li animali”, cioè la macchina lignea a forma di conchiglia che sfilò durante il corteo e venne usata per la caccia. Inoltre fu ordinato a tal Giovanni Cappanna di “consegnare a li proveditori de la contrada del Nichio il stendardo con l’impresa del leone”.


Immagini: Corteo. Caccia dei tori del 1546 – Comune di Siena, Palazzo Pubblico.

1560

Una nuova caccia dei tori era prevista anche per l’entrata in Siena di Cosimo I de’ Medici, che sarebbe dovuta avvenire tra settembre e ottobre del 1560. A tale scopo il 2 settembre erano già stati precettati i capicaccia delle Contrade. Nel Nicchio era stato scelto il figlio di Jacomo di Guerrino pizzicaiolo, un minorenne dato che il 4 settembre fu suo padre ad accettare l’incarico, in un primo momento rifiutato come fecero diversi altri capicaccia, verosimilmente a causa di una strisciante ostilità verso il duca di Firenze e Siena. Come provveditori furono nominati Cesare Mucci e Pavolo sellaio. Anche questa volta il Nicchio fu aiutato con una sovvenzione di 4 scudi d’oro per “finir di rifare l’animale suo”. A ricevere il denaro a nome della Contrada fu Simone musico. Ciononostante, per ben due volte i quattro provveditori nominati per l’organizzazione della festa dovettero intimare ad una serie di contradaioli di versare entro due giorni le somme dovute “per fare detto animale et altre spese” nelle mani “de l’operaio de la fabrica del nichio”. La difficoltà a reperire le somme per predisporre la macchina e sopperire alle altre spese necessarie a partecipare alla caccia, causò anche un dissidio territoriale con il Valdimontone, il più antico documentato, sul quale i quattro provveditori presero una decisione il 12 settembre 1560. Motivo del contendere furono alcune case poste in Fieravecchia (“di Girolamo di Bindo sarto, di Lorenzo Cori e di alcuni altri suoi vicini”), rivendicate da entrambe le Contrade. I quattro dichiararono che “per questa volta tanto dette case poste ne la Fiera Vecchia in detta somma essare de la contrada del Montone et con essa dover uscire ne la festa da farsi”. Alla fine, comunque, la caccia non venne disputata e Cosimo procrastinò addirittura il suo arrivo di un anno, entrando ufficialmente a Siena il 28 ottobre 1561 senza alcun festeggiamento particolare.

1581

In occasione della venuta a Siena del Granduca di Toscana Francesco I e della consorte Bianca Cappello, che dopo lunga attesa arrivarono a febbraio del 1582, il 20 dicembre 1581 la Balìa stabilì di organizzare una caccia dei tori, una commedia e altre “feste maggiori”. Il Nicchio nominò come capocaccia il figlio di Aurelio Saracini. Inoltre vennero nominati i responsabili delle “invenzioni” e della raccolta del denaro necessario (“tassatori”); per l’“Abbadia Nuova, contrada del Nichio” furono: capitano Bobi Mansini, maestro Cesare manescalco, Ventura Guidi e Mauritio Scaramucci.
Sempre nell’estate del 1581, non su iniziativa pubblica ma delle Contrade, quasi ogni domenica tra maggio e agosto si organizzarono dei Palii rionali (cioè disputati nel territorio della Contrada promotrice) dove insieme a bufale, asini o bardotti, si usarono anche i cavalli. A raccontare questi giochi fu Domenico Cortese, autore del poemetto Trattato sopra le belle e sontuose Feste fatte ne la Mag.ca Città di Siena, Cominciate da la prima Domenica di Maggio per tutto il dì xvii d’Agosto de l’Anno 1581, secondo il quale nel Palio rionale organizzato dal Leocorno a giugno del 1581 il premio per il primo posto fu vinto dal Nicchio (“Del Liocorno il Palio al Nicchio accrebbe”).

25 luglio 1599

Il 25 luglio 1599 il Nicchio partecipò ad una corsa rionale organizzata dalla Contrada dell’Elefante (la Torre) per celebrare la festività del suo patrono San Giacomo. A ricordarlo è una composizione poetica stampata nell’occasione, forse dalla stessa Contrada del Nicchio, i “Madrigali cantati dalla Dea Dori, venuta con le Ninfe Nereiadi sue Figlie, e con Nereo Dio Marittimo, in compagnia d’Achelao, & Inaco Fiumi Regali, sopra il Nautilo, ò Nicchio: Per honorare la bella Festa il dì 25 di Luglio 1599. In Siena, nella lieta Contrada dell’Elefante”.

1612

Alla fine del XVI secolo le cacce dei tori furono abolite, essendo ritenuti spettacoli troppo cruenti. Nel giro di pochi anni, comunque, le Contrade ripresero a sfidarsi in giochi nel Campo dove, dopo aver combattuto le pugne, giocato al pallone e cacciato i tori, cominciarono a correre i Palii, anche se all’inizio senza i cavalli, ma con somari o bufale. A riscontrare più successo furono senz’altro le “bufalate”, mentre le “asinate” ebbero scarsa fortuna e pochissime sono quelle realmente attestate. La più antica corsa con le bufale fu disputata nel 1599 su iniziativa della Torre, e fu vinta dall’Onda. Un’altra fu organizzata nel 1612 in onore e alla presenza del Granduca di Toscana Cosimo II, in visita alla città dal 22 ottobre al 12 novembre insieme alla consorte Maria Maddalena d’Austria. Il Nicchio decise di prendere parte alla festa, e per finanziarsi chiese di poter imporre ad ogni suo contradaiolo il versamento di un contributo. Alla bufalata parteciparono sei Contrade (Onda, Oca, Lupa, Giraffa, Nicchio e Lionfante, come si chiamava la Torre allora) e la vittoria arrise proprio al Nicchio, mentre l’Onda si aggiudicò il premio per la migliore comparsa.

20 ottobre 1632

Il Nicchio trionfò anche nella bufalata del 20 ottobre 1632, quando arrivò in città il Granduca di Toscana Ferdinando II, disputata anch’essa da sei Contrade: Lupa, Oca, Torre, Nicchio, Tartuca e Onda. La festa è ricordata in varie incisioni ad acquaforte eseguite dal pittore senese Bernardino Capitelli: due mostrano il corteo (una con dedica al cavaliere Emilio Piccolomini, Maestro di Campo nell’occasione, e l’altra al duca di Guisa, che espulso dalla Francia era ospite dei Medici e assistette alla bufalata) e altre sette i carri realizzati dalle Contrade con un frontespizio. Quello del Nicchio era composto in alto dal dio Amore dentro una conchiglia aperta, e sotto i Ciclopi che aprivano la via delle Alpi alla Senna in modo da incontrare l’Arno e l’Ombrone. Ai piedi del carro sfilava un folto gruppo di cavalieri vestiti alla francese, con il chiaro intento di onorare il duca di Guisa. Oltre alle due prestigiose vittorie del 1612 e del 1632, il Nicchio sarebbe giunto primo anche in una corsa con le bufale disputata nel 1638.


Immagini: Corsa delle bufale (Biblioteca comunale degli Intronati di Siena).
Carro del Nicchio per la bufalata del 1632 (Vienna, Albertina).

14 luglio 1641

Il 14 luglio 1641, in occasione del trentunesimo compleanno del Granduca di Toscana Ferdinando II, suo fratello minore Mattias de’ Medici, Governatore di Siena, mise in premio un Palio “bellissimo e molto riccho”, del quale abbiamo diverse notizie grazie al diario del viaggio in Toscana (Iter per Hetruriam) compilato da Lucas Holstein, bibliotecario tedesco del cardinale Francesco Barberini senior, che vi assistette. Alla corsa presero parte otto Contrade, tra cui anche il Nicchio, alla sua prima presenza certa in un Palio alla tonda, insieme a Lupa, Onda, Civetta, Tartuca, Selva, Torre e Giraffa. Nel diario Holstein descrive anche i loro colori, attribuendo alla “Nicchia” un improbabile “giallo nero”, frutto di un palese errore con quelli della “Tartaruga”, descritta come “rosso turchino bianco”, con i quali si presentò il Nicchio. Dopo una spettacolare cavalcata del Granduca, accompagnato da oltre quaranta cavalieri, prima per le strade cittadine e poi “tre o quattro volte intorno alla piazza”, questi montò nel palco a lui destinato. Subito dopo fecero il loro ingresso sul Campo le otto Contrade partecipanti, da Holstein chiamate “compagnie”, “una doppo l’altra, con bandiere spiegate, che passando inanzi Sua Altezza tre volte inchinorno per terra. Poi entrate tutte nel recinto dela piazza cavarno a sorte il luogo e l’ordine per metter i cavalli alla corda. Dalli otto cavalli cascorno cinque nella calata inanzi il Pallazzo et il pallio guadagnò la Torre”.

2 luglio 1658

Corso a partire dal 2 luglio 1656, il Palio in onore della Madonna di Provenzano fu vinto dal Nicchio per la prima volta già nel 1658. Secondo alcune cronache ad aggiudicarselo sarebbe stata l’Oca, che invece giunse sicuramente seconda, come prova il resoconto della carriera contenuto nel Libro delle Deliberazioni della stessa Contrada di Fontebranda, dove si legge: “quantunque il nostro cavallo fusse il migliore mediante il fantino si mantenne sempre secondo”, attribuendo il mancato successo “all’imperizia del Fantino”. La vittoria del Nicchio è certificata da una breve annotazione vergata in calce al verbale dell’assemblea adunatisi il 24 giugno 1685: “dovendosi fare spese per terminare la fabbrica [dell’oratorio di San Gaetano Thiene] vendendosi il palio del 2 luglio 1658 per scudi 56 a offitiale”. Quasi trent’anni dopo, quindi, i nicchiaioli vendettero il premio conquistato nel 1658 allo scopo di finanziare i lavori della chiesa, che fu aperta al culto meno di due mesi più tardi.

12 agosto 1685

Per quasi trenta anni la Contrada del Nicchio si adunò nell’oratorio della compagnia laicale di Santo Stefano, che si ubicava nell’edificio oggi sede della società “La Pania”. A seguito di continue controversie con i confratelli, tuttavia, i nicchiaioli decisero di costruire un oratorio a proprie spese. A tale scopo il 29 agosto 1682 acquistarono un edificio posto nel forcone tra via dei Pispini e dell’Oliviera, dove già si trovava un tabernacolo oggetto di fervida devozione da parte degli abitanti del rione, in cui era custodita una pittura a fresco raffigurante la cosiddetta “Madonna del Forcone”. L’anno dopo comprarono anche l’abitazione contigua e avanzarono richiesta al Comune affinché cedesse alla Contrada alcuni metri di pubblica via; essa fu concessa dal Magistrato di Biccherna il 18 agosto 1683. L’edificazione della chiesa, che fu intitolata a San Gaetano Thiene, non avendo ricevuto il permesso dall’Arcidiocesi di dedicarlo ai SS. Giacomo e Filippo, antichi patroni del Nicchio, durò due anni. Il nuovo oratorio, pur privo di facciata e senza alcuna partitura architettonica o decorazione interna, fu consacrato e aperto al culto dall’arcive scovo di Siena Leonardo Marsili domenica 12 agosto 1685 con tutto il rione in festa. L’evento viene descritto con queste parole nel registro dei Ricordi e Deliberazioni della Nobile Contrada del Nicchio (1682-1706): “Et alle dodici ore venne monsignore illustrissimo, assistito da due canonici e ricevuto dalla nostra contrada […] come anche dal nostro parroco di San Mauritio e prete di questa contrada, vestiti con cotta. Di più dalla nostra contrada erano state invitate le altre contrade della città nostre aggregate che venissero per esse due delli suoi habitatori, così fu eseguito, e ricevute parimente da due de’ nostri habitatori, a tal effetto premeditati per doverli trattenere fino all’ultimo della fontione, come de fatto segni con suono di trombe e tamburi e dato principio alla benedittione, con salva di mortaletti si celebrò la santa messa, essendovisi adunato gran concorso di popolo per esservi fuori e dentro alla detta chiesa gran numero”. La facciata e la decorazione interna della chiesa furono realizzate in varie fasi tra il 1699 e il 1734.


Immagine: Esterno dell’Oratorio.

1690

Nel 1690 il Nicchio stampò un sonetto per solennizzare l’aggregazione con la Contrada dell’Onda, come si deduce dal lungo titolo: “Per maggior Aggregatione, e Pace, trà le Contrade del Nicchio, e dell’Onda, essendo quello sotto la Protettione di S. Gaetano, Si figura la Beatissima Vergine sopra un Nicchio nell’Onda del Mare, che s’invia al Tempio di S. Gaetano”. Il componimento fu impresso “nella Stamperia del Publico” e oggi è custodito presso la Biblioteca comunale degli Intronati. L’amicizia fra Nicchio e Onda era molto antica, e secondo una nota tradizione si sarebbe concretizzata già ai tempi dell’edificazione dell’oratorio di San Gaetano (1683-85), quando gli ondaioli avrebbero aiutato i nicchiaioli fornendo una gran quantità di materiale da costruzione. Il Nicchio approvò l’alleanza nell’assemblea del 25 luglio 1690, seguita poi dall’Onda ai primi d’agosto. A quell’epoca la Contrada era già sicuramente aggregata con l’Oca (che insieme a Selva e Civetta si era recata con la propria “insegna” in Provenzano “a rendere le gratie” insieme ai nicchiaioli festanti per la vittoria colta nel Palio del 2 luglio 1662), e con il Valdimontone, che in un verbale d’assemblea del 16 settembre 1685 si dichiarò “confederata” con il Nicchio.


Immagine: Sonetto dell’aggregazione con l’Onda (Biblioteca comunale degli Intronati di Siena).

1691

Dal 1679 le Contrade furono invitate a correre dei Palii anche fuori Siena, nel parco della villa di Cetinale vicino ad Ancaiano. A convocarle fu il cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII, che a partire dal 1651, prima della sua elezione al soglio pontificio, aveva iniziato a trasformare il podere agricolo di proprietà della famiglia in una villa signorile; i lavori furono poi completati dal cardinale. La competizione equestre era uno degli spettacoli del ricco programma di eventi che allietavano la festa di Sant’Eustachio, cui era intitolata la cappella della villa, che ogni anno si celebrava per alcuni giorni intorno al 20 settembre, ricorrenza del santo. Nel 1691 il Palio di Cetinale fu vinto dal Nicchio. A certificarlo è la seguente annotazione scritta dal camarlengo Giovan Battista Leoncini il 23 settembre: “Da più diversi abitatori mossi da zelo in verso il nostro santo luogo, andiedero a Citinale alla villa del eccellentissimo cardinale Chigi a fare correre in nome della nostra contrada al Palio solito fare correre senza fare deliberatione alcuna, e avendo vento detto Palio, subitamente donato a San Gaetano, e detto Palio si vendè per pagare de’ debiti”. Non sappiamo in cosa consistesse il premio; di solito il cardinale Flavio offriva un bacile d’argento, ma talora anche un più classico drappo di tessuto. Sicuramente fu assai gradito dai nicchiaioli, perché servì a saldare qualche debito che la Contrada aveva contratto, verosimilmente per i lavori all’oratorio di San Gaetano.


Immagini: Palio di Cetinale (Ariccia, Palazzo Chigi)

2 luglio 1715

Il Palio del 2 luglio 1715, vinto dalla Selva, è importante nella storia del Nicchio non perché arrivò l’agognato successo in corsa che mancava ormai dal 1683, ma per aver conquistato il premio assegnato alla migliore comparsa, reintrodotto giusto l’anno prima dopo diverso tempo. Il “masgalano” era costituito da una guantiera (un vassoio dove venivano riposti i guanti) presumibilmente d’argento, un’asta e un drappellone. Ai giudici dell’arrivo, marchese Alessandro Ruspoli, Annibale Savini e Paris Bulgarini, spettava la decisione di scegliere la Contrada che aveva allestito la comparsa migliore, la quale avrebbe conservato il drappelloncino e la mazza, mentre, come consuetudine, avrebbe dovuto restituire la guantiera alla Biccherna. In cambio la Contrada vincitrice del Palio l’avrebbe ricompensata consegnandole la somma di trenta tolleri oppure quattro braccia (poco più di due metri) del drappellone da essa conquistato. A confermare che la migliore comparsa fu giudicata quella del Nicchio è la documentazione conservata in Comune: “Gli Ill.mi Sig.ri Giudici dell’Arrivo ordinarono darsi il Palio alla detta Contrada della Selva; successivamente ordinarono doversi dare il Premio alla Contrada del Nicchio come tali che ha fatto meglior comparsa”. Come si evince dai due madrigali distribuiti dai nicchiaioli durante il corteo, oggi custoditi presso la Biblioteca comunale degli Intronati, la Contrada aveva allestito un grande carro scortato da trenta uomini a cavallo, che rappresentava la “pesca delle perle fatta dagli amorini nel mare, E dai medesimi offerta in dono alle Ninfe Marine, e tra le altre a Galatea, la più bella, e la principale delle Nereidi”. L’“inventione” del Nicchio si ispirava, quindi, al tema mitologico, comune alla maggior parte dei carri eseguiti nel Settecento, con riferimenti marini che richiamavano la sua araldica. La conquista del premio è riferita anche dal contemporaneo Giovanni Antonio Pecci, che assegna al Nicchio pure i masgalani del 1674 (una guantiera, poi donata alla compagnia di Santo Stefano) e del 1695, al quale si fa riferimento in un’assemblea dell’anno seguente. Forse perché il drappelloncino costituiva il simbolo di una vittoria sul Campo che mancava da anni, seppur come migliore comparsa, i nicchiaioli decisero di conservarlo gelosamente e non venderlo; infatti è ancora custodito nel museo della Contrada anche se “sotto mentite spoglie”. In epoca imprecisabile, ma probabilmente da collocare al XIX secolo, se non ai primi del successivo, il drappellone del 1715 fu arbitrariamente attribuito alla vittoria conquistata dal Nicchio nel Palio del 2 luglio 1791, aggiungendo in basso quest’ultima data. Il fatto, invece, che si tratti del premio per la migliore comparsa del 1715 è convalidato dai tre stemmi presenti al di sotto della Madonna di Provenzano, circondati da volute vegetali, che sono quelli dei tre Deputati della Festa nominati per quel Palio, ossia il conte Firmano Bichi, Francesco Chigi e Giovanni Battista Tommasi. Il piccolo drappellone è un reperto di straordinaria rilevanza sia perché è l’unico per la migliore comparsa giunto fino a noi, caratterizzato dalla classica iconografia della festività di luglio solo di dimensioni più ridotte, sia perché precedente di qualche anno a quello del 2 luglio 1719 vinto dall’Aquila, che è il più antico drappellone originale guadagnato per la vittoria in una carriera e ancora custodito da una Contrada.


Immagine: Paliotto per masgalano del 1715 (erroneamente datato 1791) (Museo della Nobile Contrada del Nicchio).

1785

Risale al 1785 l’alleanza del Nicchio con il Bruco, che a parte una breve interruzione fra il 1927 e il 1946, è ancora oggi in essere. La proposta arrivò dall’assemblea brucaiola del 22 maggio e fu approvata a larghissima maggioranza, con appena due voti contrari. Il seguente 5 giugno essa fu discussa nel Nicchio, dove fu ratificata con cinquantasei voti favorevoli e solo tre contrari.
La terza alleanza tutt’ora vigente è quella con la Tartuca, che è meno antica rispetto alle altre due con Onda e Bruco. Essa, infatti, risale ai tempi della costituzione del T.O.N.O., acronimo con cui si indicò la ben nota coalizione tra Tartuca, Oca, Nicchio e Onda, durata appena quattro anni dal 1930 al 1934.

Anni Quaranta del XIX secolo

La Contrada del Nicchio si qualificò come “Nobile” già il 4 settembre 1685 nell’incipit di uno dei libretti (le “vacchette”) delle Sante Messe celebrate in San Gaetano. Infatti cinque anni più tardi, nel sonetto del 1690 stampato per solennizzare l’aggregazione con l’Onda, la conchiglia presente in alto è sormontata da una corona del Granduca di Toscana, con punte triangolari alternate ad altre con piccoli gigli come terminali e al centro un grande giglio bottonato. Le motivazioni di carattere storico addotte dalla Contrada per giustificare il titolo nobiliare danno adito, tuttavia, a diverse perplessità e sembrano create ad hoc in epoca successiva, quando il Nicchio, a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, cominciò a fregiarsene stabilmente unitamente ad Aquila, Bruco e Oca (alla quale il Magistrato Comunitativo accordò nel 1846 il permesso di collocare sopra il proprio stemma la corona imperiale). Esse sono: il valore dimostrato dagli uomini delle due compagnie di Abbadia Nuova di sopra e di sotto in occasione della battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), durante la quale avrebbero attaccato il nemico guelfo addirittura per prime; ardore ribadito nel 1527 quando le compagnie nicchiaiole impedirono ai fuoriusciti noveschi di rientrare in città da porta Pispini; aver mantenuto l’esercito senese a proprie spese, in epoca imprecisata, addirittura per sei mesi; infine, e questa potrebbe essere l’unica giustificazione effettivamente documentata e significativa, perché gli abitanti dell’Abbadia Nuova si batterono ostinatamente per portare acqua nel rione, realizzando due fonti, una nel XV secolo e l’altra nel successivo, l’attuale fontana dei Pispini, in buona parte a proprie spese.

1887-1889

La visita a Siena del re d’Italia Umberto I e della regina Margherita di Savoia, avvenuta fra il 16 e il 18 luglio 1887, ha lasciato una traccia indelebile negli emblemi delle diciassette Contrade, poiché nel giro di pochi mesi tutte richiesero di poterli arricchire con simboli della Casa reale. La prima a muoversi in tal senso, prima ancora che la coppia giungesse in città, fu l’Aquila, seguita a ruota da Tartuca, Oca, Lupa, Chiocciola e Giraffa. In data 28 novembre il Regio Commissario per la Consulta Araldica, il barone Antonio Manno, espresse parere favorevole affinché alle sei Contrade venisse concessa “la grazia di fregiare la propria insegna con un particolare distintivo” che ricordasse “ai posteri l’avvenimento del 1887”, proponendo per ognuna uno specifico intervento araldico. Fu così che già il 24 aprile 1888 il Ministro della Real Casa Giovanni Visone poteva firmare i decreti di concessione, trasmessi alle Contrade interessate quattro giorni dopo. L’evento destò grande scalpore in città, spingendo anche le altre undici ad inoltrare una simile domanda di concessione. Il 10 maggio 1888 fu proprio il priore del Nicchio conte Bernardo Tolomei a convocare una riunione con gli altri dieci “colleghi” perché la richiesta fosse collettiva, giudicandola “cosa equa”. Il nuovo iter partì subito e il 10 luglio Manno scriveva una lunga nota al Ministero dell’Interno con le proposte della Consulta Araldica. Per la Contrada del Nicchio si esprimeva con queste parole, utili per capire come si presentasse lo stemma prima dell’intervento: “l’arma è di un Nicchio, coronato alla granducale, con due rami di coralli, decussati, che muovono dall’orecchio della valva dal quale pende una filza di perle di corallo; il tutto al naturale. Si propone di sostituire la filza di coralli con un pendente formato da tre nodi di Savoia, d’oro, divisi da due rose, una di rosso a destra, l’altra d’argento a sinistra”. Questi ulteriori decreti di concessione furono firmati dal Ministro Visone il 9 febbraio 1889 e trasmessi alle undici Contrade il 14 febbraio. Il Nicchio approvò la realizzazione delle bandiere con il nuovo stemma il successivo 19 maggio. 

1889

In un’informativa scritta da un ispettore di polizia nell’agosto del 1889 a seguito della richiesta indirizzata dal provveditore del Nicchio Ferdinando Pavolini al Presidente del Consiglio Francesco Crispi affinché diventasse protettore della Contrada, peraltro all’insaputa del priore conte Bernardo Tolomei, emerge che a fine Ottocento il Nicchio poteva contare su circa trecento protettori, per lo più appartenenti “al ceto dei mestieranti e negozianti” in buone condizioni economiche. Nel documento, dove il Pavolini fu descritto come “una nullità assoluta” alla continua ricerca di nuovi protettori per la Contrada, l’ispettore consigliò la Presidenza del Consiglio di respingere la richiesta, poiché altrimenti sarebbe stata costretta ad accettare istanze dello stesso tenore che certamente sarebbero arrivate dalle altre sedici, “onde evitare malcontenti e maggiori rivalità”.

7 agosto 1938

Della necessità di dotare la Contrada del Nicchio di una sede più spaziosa di quella che i documenti menzionano sin dal 1874, la quale si ubicava nel fabbricato attiguo all’oratorio di San Gaetano come oggi, se ne cominciò a parlare in un’assemblea dell’aprile del 1914. Il progetto fu approvato, non senza alcune perplessità, ma rimase sulla carta per qualche anno, anche a causa dell’incombente conflitto mondiale. Se ne tornò a parlare negli anni Venti del secolo, e soprattutto a partire dal 1926, quando la Contrada prima ebbe in eredità un magazzino e poi acquistò una rimessa ad esso adiacente, che consentivano di ampliare la sede. I lavori veri e propri, però, iniziarono solo alla fine del 1937, grazie ad una sottoscrizione incentivata dalla promessa di dipingere sul soffitto della futura Sala delle Vittorie lo “stemma gentilizio” di coloro che avessero versato una rata pari a 500 lire (alla fine saranno ben quarantatré contradaioli) o di annotare il nominativo in un apposito albo d’oro se il pagamento fosse ammontato a 100 lire. I nuovi locali furono inaugurati e benedetti dal correttore don Roggini domenica 7 agosto 1938, alla presenza delle Autorità cittadine e dei Priori delle altre Contrade. Dopo un primo restauro negli anni Cinquanta, la sede della Contrada fu ristrutturata negli anni Ottanta del secolo scorso. Il nuovo Museo del Nicchio fu inaugurato nel 1988.


Immagini: Sonetto celebrativo e programma dei festeggiamenti per l’inaugurazione della sede del Nicchio (Archivio della Nobile Contrada del Nicchio).

A cura di Roberto Cresti

 

Raffigurazione dell’alfiere del Nicchio per la caccia dei tori del 1506 realizzato da Riccardo Manganelli.

16 agosto 1506

Presumibilmente alla fine del XV secolo, anche gli uomini delle compagnie dell’Abbadia Nuova di sopra e di sotto si unirono nella Contrada del Nicchio per prendere parte alle pubbliche feste della città, desumendo colori, simboli araldici e denominazione dai gonfaloni delle due società. In quel periodo le Contrade cominciarono ad animare le cacce dei tori, che si disputavano il 15 agosto in occasione della festività di Maria Assunta. La prima ad essere documentata con dovizia di dettagli è la caccia del 16 agosto 1506, posticipata di un giorno a causa della pioggia, perché vi assistette un anonimo fiorentino che la descrisse vivacemente in un poema di 132 stanze redatto in ottava rima, intitolato La festa che si fece in Siena a dì XV di agosto MDVI. La tauromachia fu combattuta da dodici Contrade, che prima di iniziarla sfilarono nell’anello di Piazza con la propria macchina e rappresentanza. Tra esse anche il Nicchio, che fece il suo ingresso dalla bocca del Casato per quinto, qui menzionato per la prima volta con il suo nome moderno e descritto dall’anonimo con questi versi:

Drieto a chostoro seguitano Etiopi
ch’eran più neri che carbone spenti,
nera la lor liviera convien copi
e pieni d’oro con degno ornamenti
e non parevan di tel oro inopi
che gl’ànno dele gioie conpimento
e targhe avìen con più d’uno spichio
e van gridando “viva Nichio, Nichio, Nichio”.
El capo caccia lor si chiama Antonio
di Lodovico di Mucco gentile
e ben che nero sia più che ‘l dimonio
era d’ingegno e d’animo verile,
in ogni sua faccenda assai idonio,
buona presentia magna e signorile
e la bandiera fiera in campo rosso
un nicchio biancho dal suo pesce scosso.

Per l’occasione i nicchiaioli erano vestiti da Etiopi e perciò si erano tinti di nero. La loro bandiera era rossa con al centro una nicchia bianca priva dell’animale (“del suo pesce scosso” scrive il compositore). Capocaccia era Antonio di Lodovico di Mucco, ossia della famiglia Mucci, che fornirà altri ufficiali alla Contrada nei decenni successivi, registrata dalle fonti fiscali dell’epoca nella compagnia dell’Abbadia Nuova di sotto.

15 agosto 1546   

Il Nicchio gareggiò anche nella più spettacolare e meglio documentata tra le cacce cinquecentesche, quella del 15 agosto 1546, l’ultima grande festa senese prima della caduta della Repubblica, alla quale parteciparono sedici Contrade, assente solo la Tartuca. La festa fu minuziosamente narrata da Cecchino cartaio in una lettera indirizzata il 20 agosto di quell’anno alla “nobilissima et onorata madonna Gentile Tantucci”, dal titolo La Magnifica & honorata Festa, fatta in Siena, per la Madonna d’Agosto, l’Anno 1546. La comparsa del Nicchio, entrata in Piazza per settima, era composta da ottantotto uomini vestiti in livrea turchina con banda rossa, ai quali si aggiungevano venti uomini a cavallo che seguivano il capocaccia. La lettera di Cecchino fu ristampata nel 1582 con alcune difformità rispetto alla prima edizione. La più clamorosa riguarda la presenza della Tartuca, qui menzionata a differenza dell’originale, ma anche nella descrizione della comparsa nicchiaiola si possono notare delle differenze: “veniva la contrada del Nicchio, in livrea tutta rossa, in numero di sessant’otto, con una gran machina in forma di Nicchio, sopra la quale era un Nettuno col Tridente, sotto il Capo Caccia Claudio di ser Domenico, vestito di cremisi con raccami doro con suoi staffieri assai ornati. L’insegna loro era tutta rossa, portata da Pauolo Trombetto, vestito di cremisi cò trine doro”. A parte il minor numero di “monturati”, nella ristampa si descrive la livrea completamente rossa e non turchina con banda rossa; in entrambe le versioni, invece, la bandiera è tutta rossa. In questo modo tre anni dopo, nel 1585, Vincenzo Rustici rappresenta la comparsa e il vessillo del Nicchio nei due celebri dipinti ad olio su tela che rappresentano il corteo e la caccia del 1546. Riguardo ai due contradaioli citati, nessuna notizia è reperibile su Claudio di Domenico, mentre l’alfiere, il trombetto Paolo, tre anni dopo risultava iscritto nei registri della compagnia dell’Abbadia Nuova di sopra per un modesto imponibile di 100 lire. Dal registro dei quattro Provveditori della festa veniamo a sapere che al “Nichio” vennero consegnate 28 lire (e 14 alla Chiocciola) vista “la povertà de la contrada […] per poter fare li animali”, cioè la macchina lignea a forma di conchiglia che sfilò durante il corteo e venne usata per la caccia. Inoltre fu ordinato a tal Giovanni Cappanna di “consegnare a li proveditori de la contrada del Nichio il stendardo con l’impresa del leone”.

Corteo.
Caccia dei tori del 1546 – Comune di Siena, Palazzo Pubblico.

1560

Una nuova caccia dei tori era prevista anche per l’entrata in Siena di Cosimo I de’ Medici, che sarebbe dovuta avvenire tra settembre e ottobre del 1560. A tale scopo il 2 settembre erano già stati precettati i capicaccia delle Contrade. Nel Nicchio era stato scelto il figlio di Jacomo di Guerrino pizzicaiolo, un minorenne dato che il 4 settembre fu suo padre ad accettare l’incarico, in un primo momento rifiutato come fecero diversi altri capicaccia, verosimilmente a causa di una strisciante ostilità verso il duca di Firenze e Siena. Come provveditori furono nominati Cesare Mucci e Pavolo sellaio. Anche questa volta il Nicchio fu aiutato con una sovvenzione di 4 scudi d’oro per “finir di rifare l’animale suo”. A ricevere il denaro a nome della Contrada fu Simone musico. Ciononostante, per ben due volte i quattro provveditori nominati per l’organizzazione della festa dovettero intimare ad una serie di contradaioli di versare entro due giorni le somme dovute “per fare detto animale et altre spese” nelle mani “de l’operaio de la fabrica del nichio”. La difficoltà a reperire le somme per predisporre la macchina e sopperire alle altre spese necessarie a partecipare alla caccia, causò anche un dissidio territoriale con il Valdimontone, il più antico documentato, sul quale i quattro provveditori presero una decisione il 12 settembre 1560. Motivo del contendere furono alcune case poste in Fieravecchia (“di Girolamo di Bindo sarto, di Lorenzo Cori e di alcuni altri suoi vicini”), rivendicate da entrambe le Contrade. I quattro dichiararono che “per questa volta tanto dette case poste ne la Fiera Vecchia in detta somma essare de la contrada del Montone et con essa dover uscire ne la festa da farsi”. Alla fine, comunque, la caccia non venne disputata e Cosimo procrastinò addirittura il suo arrivo di un anno, entrando ufficialmente a Siena il 28 ottobre 1561 senza alcun festeggiamento particolare. 

1581

In occasione della venuta a Siena del Granduca di Toscana Francesco I e della consorte Bianca Cappello, che dopo lunga attesa arrivarono a febbraio del 1582, il 20 dicembre 1581 la Balìa stabilì di organizzare una caccia dei tori, una commedia e altre “feste maggiori”. Il Nicchio nominò come capocaccia il figlio di Aurelio Saracini. Inoltre vennero nominati i responsabili delle “invenzioni” e della raccolta del denaro necessario (“tassatori”); per l’“Abbadia Nuova, contrada del Nichio” furono: capitano Bobi Mansini, maestro Cesare manescalco, Ventura Guidi e Mauritio Scaramucci.
Sempre nell’estate del 1581, non su iniziativa pubblica ma delle Contrade, quasi ogni domenica tra maggio e agosto si organizzarono dei Palii rionali (cioè disputati nel territorio della Contrada promotrice) dove insieme a bufale, asini o bardotti, si usarono anche i cavalli. A raccontare questi giochi fu Domenico Cortese, autore del poemetto Trattato sopra le belle e sontuose Feste fatte ne la Mag.ca Città di Siena, Cominciate da la prima Domenica di Maggio per tutto il dì xvii d’Agosto de l’Anno 1581, secondo il quale nel Palio rionale organizzato dal Leocorno a giugno del 1581 il premio per il primo posto fu vinto dal Nicchio (“Del Liocorno il Palio al Nicchio accrebbe”).

25 luglio 1599

Il 25 luglio 1599 il Nicchio partecipò ad una corsa rionale organizzata dalla Contrada dell’Elefante (la Torre) per celebrare la festività del suo patrono San Giacomo. A ricordarlo è una composizione poetica stampata nell’occasione, forse dalla stessa Contrada del Nicchio, i “Madrigali cantati dalla Dea Dori, venuta con le Ninfe Nereiadi sue Figlie, e con Nereo Dio Marittimo, in compagnia d’Achelao, & Inaco Fiumi Regali, sopra il Nautilo, ò Nicchio: Per honorare la bella Festa il dì 25 di Luglio 1599. In Siena, nella lieta Contrada dell’Elefante”.     

1612

Alla fine del XVI secolo le cacce dei tori furono abolite, essendo ritenuti spettacoli troppo cruenti. Nel giro di pochi anni, comunque, le Contrade ripresero a sfidarsi in giochi nel Campo dove, dopo aver combattuto le pugne, giocato al pallone e cacciato i tori, cominciarono a correre i Palii, anche se all’inizio senza i cavalli, ma con somari o bufale. A riscontrare più successo furono senz’altro le “bufalate”, mentre le “asinate” ebbero scarsa fortuna e pochissime sono quelle realmente attestate. La più antica corsa con le bufale fu disputata nel 1599 su iniziativa della Torre, e fu vinta dall’Onda. Un’altra fu organizzata nel 1612 in onore e alla presenza del Granduca di Toscana Cosimo II, in visita alla città dal 22 ottobre al 12 novembre insieme alla consorte Maria Maddalena d’Austria. Il Nicchio decise di prendere parte alla festa, e per finanziarsi chiese di poter imporre ad ogni suo contradaiolo il versamento di un contributo. Alla bufalata parteciparono sei Contrade (Onda, Oca, Lupa, Giraffa, Nicchio e Lionfante, come si chiamava la Torre allora) e la vittoria arrise proprio al Nicchio, mentre l’Onda si aggiudicò il premio per la migliore comparsa.

20 ottobre 1632 

Il Nicchio trionfò anche nella bufalata del 20 ottobre 1632, quando arrivò in città il Granduca di Toscana Ferdinando II, disputata anch’essa da sei Contrade: Lupa, Oca, Torre, Nicchio, Tartuca e Onda. La festa è ricordata in varie incisioni ad acquaforte eseguite dal pittore senese Bernardino Capitelli: due mostrano il corteo (una con dedica al cavaliere Emilio Piccolomini, Maestro di Campo nell’occasione, e l’altra al duca di Guisa, che espulso dalla Francia era ospite dei Medici e assistette alla bufalata) e altre sette i carri realizzati dalle Contrade con un frontespizio. Quello del Nicchio era composto in alto dal dio Amore dentro una conchiglia aperta, e sotto i Ciclopi che aprivano la via delle Alpi alla Senna in modo da incontrare l’Arno e l’Ombrone. Ai piedi del carro sfilava un folto gruppo di cavalieri vestiti alla francese, con il chiaro intento di onorare il duca di Guisa. Oltre alle due prestigiose vittorie del 1612 e del 1632, il Nicchio sarebbe giunto primo anche in una corsa con le bufale disputata nel 1638.

Corsa delle bufale (Biblioteca comunale degli Intronati di Siena).
Carro del Nicchio per la bufalata del 1632 (Vienna, Albertina).

14 luglio 1641

Il 14 luglio 1641, in occasione del trentunesimo compleanno del Granduca di Toscana Ferdinando II, suo fratello minore Mattias de’ Medici, Governatore di Siena, mise in premio un Palio “bellissimo e molto riccho”, del quale abbiamo diverse notizie grazie al diario del viaggio in Toscana (Iter per Hetruriam) compilato da Lucas Holstein, bibliotecario tedesco del cardinale Francesco Barberini senior, che vi assistette. Alla corsa presero parte otto Contrade, tra cui anche il Nicchio, alla sua prima presenza certa in un Palio alla tonda, insieme a Lupa, Onda, Civetta, Tartuca, Selva, Torre e Giraffa. Nel diario Holstein descrive anche i loro colori, attribuendo alla “Nicchia” un improbabile “giallo nero”, frutto di un palese errore con quelli della “Tartaruga”, descritta come “rosso turchino bianco”, con i quali si presentò il Nicchio. Dopo una spettacolare cavalcata del Granduca, accompagnato da oltre quaranta cavalieri, prima per le strade cittadine e poi “tre o quattro volte intorno alla piazza”, questi montò nel palco a lui destinato. Subito dopo fecero il loro ingresso sul Campo le otto Contrade partecipanti, da Holstein chiamate “compagnie”, “una doppo l’altra, con bandiere spiegate, che passando inanzi Sua Altezza tre volte inchinorno per terra. Poi entrate tutte nel recinto dela piazza cavarno a sorte il luogo e l’ordine per metter i cavalli alla corda. Dalli otto cavalli cascorno cinque nella calata inanzi il Pallazzo et il pallio guadagnò la Torre”.

2 luglio 1658

Corso a partire dal 2 luglio 1656, il Palio in onore della Madonna di Provenzano fu vinto dal Nicchio per la prima volta già nel 1658. Secondo alcune cronache ad aggiudicarselo sarebbe stata l’Oca, che invece giunse sicuramente seconda, come prova il resoconto della carriera contenuto nel Libro delle Deliberazioni della stessa Contrada di Fontebranda, dove si legge: “quantunque il nostro cavallo fusse il migliore mediante il fantino si mantenne sempre secondo”, attribuendo il mancato successo “all’imperizia del Fantino”. La vittoria del Nicchio è certificata da una breve annotazione vergata in calce al verbale dell’assemblea adunatisi il 24 giugno 1685: “dovendosi fare spese per terminare la fabbrica [dell’oratorio di San Gaetano Thiene] vendendosi il palio del 2 luglio 1658 per scudi 56 a offitiale”. Quasi trent’anni dopo, quindi, i nicchiaioli vendettero il premio conquistato nel 1658 allo scopo di finanziare i lavori della chiesa, che fu aperta al culto meno di due mesi più tardi.

Esterno dell’Oratorio.

12 agosto 1685

 

Per quasi trenta anni la Contrada del Nicchio si adunò nell’oratorio della compagnia laicale di Santo Stefano, che si ubicava nell’edificio oggi sede della società “La Pania”. A seguito di continue controversie con i confratelli, tuttavia, i nicchiaioli decisero di costruire un oratorio a proprie spese. A tale scopo il 29 agosto 1682 acquistarono un edificio posto nel forcone tra via dei Pispini e dell’Oliviera, dove già si trovava un tabernacolo oggetto di fervida devozione da parte degli abitanti del rione, in cui era custodita una pittura a fresco raffigurante la cosiddetta “Madonna del Forcone”. L’anno dopo comprarono anche l’abitazione contigua e avanzarono richiesta al Comune affinché cedesse alla Contrada alcuni metri di pubblica via; essa fu concessa dal Magistrato di Biccherna il 18 agosto 1683. L’edificazione della chiesa, che fu intitolata a San Gaetano Thiene, non avendo ricevuto il permesso dall’Arcidiocesi di dedicarlo ai SS. Giacomo e Filippo, antichi patroni del Nicchio, durò due anni. Il nuovo oratorio, pur privo di facciata e senza alcuna partitura architettonica o decorazione interna, fu consacrato e aperto al culto dall’arcive scovo di Siena Leonardo Marsili domenica 12 agosto 1685 con tutto il rione in festa. L’evento viene descritto con queste parole nel registro dei Ricordi e Deliberazioni della Nobile Contrada del Nicchio (1682-1706): “Et alle dodici ore venne monsignore illustrissimo, assistito da due canonici e ricevuto dalla nostra contrada […] come anche dal nostro parroco di San Mauritio e prete di questa contrada, vestiti con cotta. Di più dalla nostra contrada erano state invitate le altre contrade della città nostre aggregate che venissero per esse due delli suoi habitatori, così fu eseguito, e ricevute parimente da due de’ nostri habitatori, a tal effetto premeditati per doverli trattenere fino all’ultimo della fontione, come de fatto segni con suono di trombe e tamburi e dato principio alla benedittione, con salva di mortaletti si celebrò la santa messa, essendovisi adunato gran concorso di popolo per esservi fuori e dentro alla detta chiesa gran numero”. La facciata e la decorazione interna della chiesa furono realizzate in varie fasi tra il 1699 e il 1734.

Sonetto dell’aggregazione con l’Onda (Biblioteca comunale degli Intronati di Siena).

1690

Nel 1690 il Nicchio stampò un sonetto per solennizzare l’aggregazione con la Contrada dell’Onda, come si deduce dal lungo titolo: “Per maggior Aggregatione, e Pace, trà le Contrade del Nicchio, e dell’Onda, essendo quello sotto la Protettione di S. Gaetano, Si figura la Beatissima Vergine sopra un Nicchio nell’Onda del Mare, che s’invia al Tempio di S. Gaetano”. Il componimento fu impresso “nella Stamperia del Publico” e oggi è custodito presso la Biblioteca comunale degli Intronati. L’amicizia fra Nicchio e Onda era molto antica, e secondo una nota tradizione si sarebbe concretizzata già ai tempi dell’edificazione dell’oratorio di San Gaetano (1683-85), quando gli ondaioli avrebbero aiutato i nicchiaioli fornendo una gran quantità di materiale da costruzione. Il Nicchio approvò l’alleanza nell’assemblea del 25 luglio 1690, seguita poi dall’Onda ai primi d’agosto. A quell’epoca la Contrada era già sicuramente aggregata con l’Oca (che insieme a Selva e Civetta si era recata con la propria “insegna” in Provenzano “a rendere le gratie” insieme ai nicchiaioli festanti per la vittoria colta nel Palio del 2 luglio 1662), e con il Valdimontone, che in un verbale d’assemblea del 16 settembre 1685 si dichiarò “confederata” con il Nicchio. 

1691

Dal 1679 le Contrade furono invitate a correre dei Palii anche fuori Siena, nel parco della villa di Cetinale vicino ad Ancaiano. A convocarle fu il cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII, che a partire dal 1651, prima della sua elezione al soglio pontificio, aveva iniziato a trasformare il podere agricolo di proprietà della famiglia in una villa signorile; i lavori furono poi completati dal cardinale. La competizione equestre era uno degli spettacoli del ricco programma di eventi che allietavano la festa di Sant’Eustachio, cui era intitolata la cappella della villa, che ogni anno si celebrava per alcuni giorni intorno al 20 settembre, ricorrenza del santo. Nel 1691 il Palio di Cetinale fu vinto dal Nicchio. A certificarlo è la seguente annotazione scritta dal camarlengo Giovan Battista Leoncini il 23 settembre: “Da più diversi abitatori mossi da zelo in verso il nostro santo luogo, andiedero a Citinale alla villa del eccellentissimo cardinale Chigi a fare correre in nome della nostra contrada al Palio solito fare correre senza fare deliberatione alcuna, e avendo vento detto Palio, subitamente donato a San Gaetano, e detto Palio si vendè per pagare de’ debiti”. Non sappiamo in cosa consistesse il premio; di solito il cardinale Flavio offriva un bacile d’argento, ma talora anche un più classico drappo di tessuto. Sicuramente fu assai gradito dai nicchiaioli, perché servì a saldare qualche debito che la Contrada aveva contratto, verosimilmente per i lavori all’oratorio di San Gaetano.

Palio di Cetinale (Ariccia, Palazzo Chigi)

Paliotto per masgalano del 1715 (erroneamente datato 1791) (Museo della Nobile Contrada del Nicchio).

2 luglio 1715

Il Palio del 2 luglio 1715, vinto dalla Selva, è importante nella storia del Nicchio non perché arrivò l’agognato successo in corsa che mancava ormai dal 1683, ma per aver conquistato il premio assegnato alla migliore comparsa, reintrodotto giusto l’anno prima dopo diverso tempo. Il “masgalano” era costituito da una guantiera (un vassoio dove venivano riposti i guanti) presumibilmente d’argento, un’asta e un drappellone. Ai giudici dell’arrivo, marchese Alessandro Ruspoli, Annibale Savini e Paris Bulgarini, spettava la decisione di scegliere la Contrada che aveva allestito la comparsa migliore, la quale avrebbe conservato il drappelloncino e la mazza, mentre, come consuetudine, avrebbe dovuto restituire la guantiera alla Biccherna. In cambio la Contrada vincitrice del Palio l’avrebbe ricompensata consegnandole la somma di trenta tolleri oppure quattro braccia (poco più di due metri) del drappellone da essa conquistato. A confermare che la migliore comparsa fu giudicata quella del Nicchio è la documentazione conservata in Comune: “Gli Ill.mi Sig.ri Giudici dell’Arrivo ordinarono darsi il Palio alla detta Contrada della Selva; successivamente ordinarono doversi dare il Premio alla Contrada del Nicchio come tali che ha fatto meglior comparsa”. Come si evince dai due madrigali distribuiti dai nicchiaioli durante il corteo, oggi custoditi presso la Biblioteca comunale degli Intronati, la Contrada aveva allestito un grande carro scortato da trenta uomini a cavallo, che rappresentava la “pesca delle perle fatta dagli amorini nel mare, E dai medesimi offerta in dono alle Ninfe Marine, e tra le altre a Galatea, la più bella, e la principale delle Nereidi”. L’“inventione” del Nicchio si ispirava, quindi, al tema mitologico, comune alla maggior parte dei carri eseguiti nel Settecento, con riferimenti marini che richiamavano la sua araldica. La conquista del premio è riferita anche dal contemporaneo Giovanni Antonio Pecci, che assegna al Nicchio pure i masgalani del 1674 (una guantiera, poi donata alla compagnia di Santo Stefano) e del 1695, al quale si fa riferimento in un’assemblea dell’anno seguente. Forse perché il drappelloncino costituiva il simbolo di una vittoria sul Campo che mancava da anni, seppur come migliore comparsa, i nicchiaioli decisero di conservarlo gelosamente e non venderlo; infatti è ancora custodito nel museo della Contrada anche se “sotto mentite spoglie”. In epoca imprecisabile, ma probabilmente da collocare al XIX secolo, se non ai primi del successivo, il drappellone del 1715 fu arbitrariamente attribuito alla vittoria conquistata dal Nicchio nel Palio del 2 luglio 1791, aggiungendo in basso quest’ultima data. Il fatto, invece, che si tratti del premio per la migliore comparsa del 1715 è convalidato dai tre stemmi presenti al di sotto della Madonna di Provenzano, circondati da volute vegetali, che sono quelli dei tre Deputati della Festa nominati per quel Palio, ossia il conte Firmano Bichi, Francesco Chigi e Giovanni Battista Tommasi. Il piccolo drappellone è un reperto di straordinaria rilevanza sia perché è l’unico per la migliore comparsa giunto fino a noi, caratterizzato dalla classica iconografia della festività di luglio solo di dimensioni più ridotte, sia perché precedente di qualche anno a quello del 2 luglio 1719 vinto dall’Aquila, che è il più antico drappellone originale guadagnato per la vittoria in una carriera e ancora custodito da una Contrada.

XIII secolo

Il territorio della Nobile Contrada del Nicchio è tra quelli di più recente formazione nel tessuto urbano di Siena, ubicandosi ancora all’esterno della cinta muraria edificata tra la fine del XII e i primi anni del XIII secolo. Il rione cominciò a svilupparsi all’inizio del Duecento nell’area compresa fra la chiesa di San Giorgio e il “poggio Farolfi”, dove più tardi si costruirà il complesso conventuale di Santo Spirito, e lungo l’arteria di collegamento tra Siena e Arezzo, ossia l’odierna via dei Pispini. Nel giro di pochi anni dovette ingrandirsi notevolmente e in un documento del 1244 si parla già di un “borgo dell’Abbadia Nuova”, segno che si stava espandendo intorno all’abbazia vallombrosana di San Giacomo e Filippo, detta appunto Abbadia Nuova, e nel piano di San Viene. Entro la fine del Duecento il rione dei Pispini aveva ormai raggiunto una struttura simile all’odierna, tant’è che fra il XIV e i primissimi anni del XV secolo fu completamente incluso all’interno della nuova cerchia muraria.

Intorno alla metà del Duecento gli uomini dell’Abbadia Nuova si inquadrarono in una delle oltre venti società delle armi della città, detta della “Stella”. Queste erano delle associazioni di armati, di norma sia fanti che cavalieri, con una propria base territoriale.

XIV secolo

Con l’avvento del regime dei Nove, le società delle armi si trasformarono nelle compagnie del popolo, che furono riorganizzate e istituzionalizzate nel 1310. Queste assolvevano a diverse funzioni, sia di difesa urbana che di natura amministrativa. Nel rione dell’Abbadia Nuova si formarono due compagnie, attestate sin dagli anni Trenta del XIV secolo: quella dell’Abbadia Nuova di sopra e l’altra dell’Abbadia Nuova di sotto. A causa del forte decremento demografico seguito alla peste del 1348, l’anno dopo il Consiglio Generale del Comune di Siena dovette diminuire il numero delle compagnie, unificando le due presenti nel rione in una sola, detta dell’Abbadia Nuova, che mantenne l’arme e il vessillo dell’Abbadia Nuova di sopra. Il provvedimento fu di breve durata e già nel 1357 le compagnie, talvolta definite anche società, salirono al numero di quarantadue, tra le quali anche quelle dell’Abbadia Nuova di sopra e di sotto.

XV secolo

Dai primi decenni del XV secolo si cominciò a redigere i registri delle compagnie, ormai consolidate nel numero di quarantadue, contenenti i nominativi di tutti gli ufficiali della Repubblica senese, dai Capitani del Popolo ai Gonfalonieri maestri fino agli ufficiali delle società. Il più antico conservato presso l’Archivio di Stato di Siena risale al 1420. Questi registri riportano anche la descrizione araldica dei gonfaloni delle compagnie, definiti proprio in quel periodo, visto che i loro stemmi furono sistemati anche nel basamento della lupa nutrice in bronzo commissionata nel 1429 a Giovanni di Turino e posizionata su una colonna all’esterno dell’ingresso di Palazzo Pubblico (oggi al Museo Civico). L’insegna araldica della compagnia dell’Abbadia Nuova di sopra è descritta come di seguito: “Campus rubeus cum duobus listis albi et cum duobus stellis albi in dicto campo”. Si noti che in questo vessillo comparivano due stelle bianche, probabilmente eredi dell’emblema della duecentesca società della Stella. Il gonfalone della compagnia dell’Abbadia Nuova di sotto, invece, è descritto nei registri come di seguito: “Campus rubeus cum una lista ad spinos azurri et albi et duobus nichis albi in dicto campo”. Da osservare che il campo di entrambe le insegne araldiche era di colore rosso, che in origine caratterizzerà i costumi e la bandiera del Nicchio. Inoltre in questo stemma comparivano una fascia spinata bianca e azzurra, che dal tardo Seicento diventerà il colore prevalente dell’emblema della Contrada, e soprattutto due “nicchi” bianchi, che già ai primi del Cinquecento daranno la denominazione e diventeranno il simbolo del vessillo nicchiaiolo. La presenza dei “nicchi” può essere spiegata con il fatto che nel territorio dell’Abbadia Nuova di sotto si trovava il monastero di San Giacomo, e che la conchiglia (“pecten jacobeus”) costituiva il simbolo per eccellenza dell’avvenuto pellegrinaggio sulla sua tomba a Santiago de Compostela in Galizia.
Fu proprio nel corso del Quattrocento che cominciarono a comparire le Contrade con i nomi attuali (Chiocciola, Giraffa, Drago), ossia quando ancora esistevano le compagnie. I due organismi coesistettero per oltre un secolo, visto che quest’ultime scomparirono con la caduta della Repubblica senese. È, quindi, errato ritenere che le Contrade moderne siano le dirette discendenti delle compagnie, come si è sostenuto per molto tempo. Più verosimilmente le Contrade nacquero per partecipare e animare i giochi pubblici che, appunto dal XV secolo, si disputavano nel Campo, prima le pugne (nel periodo di carnevale), poi le cacce dei tori, già in onore della Madonna Assunta. A formarle furono gli uomini di compagnie limitrofe, che si riconobbero in un territorio più ampio di quello delle singole società, ossia in specifici “rioni” che esistevano da secoli intorno alle parrocchie. Brigate, come talora vengono definite nelle più antiche attestazioni, che nel tempo cementarono la solidarietà di gruppo e l’identità di fazione, tipico delle Contrade sin dalle loro origini.

16 Agosto 1506

Presumibilmente alla fine del XV secolo, anche gli uomini delle compagnie dell’Abbadia Nuova di sopra e di sotto si unirono nella Contrada del Nicchio per prendere parte alle pubbliche feste della città, desumendo colori, simboli araldici e denominazione dai gonfaloni delle due società. In quel periodo le Contrade cominciarono ad animare le cacce dei tori, che si disputavano il 15 agosto in occasione della festività di Maria Assunta. La prima ad essere documentata con dovizia di dettagli è la caccia del 16 agosto 1506, posticipata di un giorno a causa della pioggia, perché vi assistette un anonimo fiorentino che la descrisse vivacemente in un poema di 132 stanze redatto in ottava rima, intitolato La festa che si fece in Siena a dì XV di agosto MDVI. La tauromachia fu combattuta da dodici Contrade, che prima di iniziarla sfilarono nell’anello di Piazza con la propria macchina e rappresentanza. Tra esse anche il Nicchio, che fece il suo ingresso dalla bocca del Casato per quinto, qui menzionato per la prima volta con il suo nome moderno e descritto dall’anonimo con questi versi:

“Drieto a chostoro seguitano Etiopi ch’eran più neri che carbone spenti, nera la lor liviera convien copi e pieni d’oro con degno ornamenti e non parevan di tel oro inopi che gl’ànno dele gioie conpimento e targhe avìen con più d’uno spichio e van gridando “viva Nichio, Nichio, Nichio”. El capo caccia lor si chiama Antonio di Lodovico di Mucco gentile e ben che nero sia più che ‘l dimonio era d’ingegno e d’animo verile, in ogni sua faccenda assai idonio, buona presentia magna e signorile e la bandiera fiera in campo rosso un nicchio biancho dal suo pesce scosso.”

Per l’occasione i nicchiaioli erano vestiti da Etiopi e perciò si erano tinti di nero. La loro bandiera era rossa con al centro una nicchia bianca priva dell’animale (“del suo pesce scosso” scrive il compositore). Capocaccia era Antonio di Lodovico di Mucco, ossia della famiglia Mucci, che fornirà altri ufficiali alla Contrada nei decenni successivi, registrata dalle fonti fiscali dell’epoca nella compagnia dell’Abbadia Nuova di sotto.


Immagine: Raffigurazione dell’alfiere del Nicchio per la caccia dei tori del 1506 realizzato da Riccardo Manganelli.

15 agosto 1546

Il Nicchio gareggiò anche nella più spettacolare e meglio documentata tra le cacce cinquecentesche, quella del 15 agosto 1546, l’ultima grande festa senese prima della caduta della Repubblica, alla quale parteciparono sedici Contrade, assente solo la Tartuca. La festa fu minuziosamente narrata da Cecchino cartaio in una lettera indirizzata il 20 agosto di quell’anno alla “nobilissima et onorata madonna Gentile Tantucci”, dal titolo La Magnifica & honorata Festa, fatta in Siena, per la Madonna d’Agostol’Anno 1546. La comparsa del Nicchio, entrata in Piazza per settima, era composta da ottantotto uomini vestiti in livrea turchina con banda rossa, ai quali si aggiungevano venti uomini a cavallo che seguivano il capocaccia. La lettera di Cecchino fu ristampata nel 1582 con alcune difformità rispetto alla prima edizione. La più clamorosa riguarda la presenza della Tartuca, qui menzionata a differenza dell’originale, ma anche nella descrizione della comparsa nicchiaiola si possono notare delle differenze: “veniva la contrada del Nicchio, in livrea tutta rossa, in numero di sessant’otto, con una gran machina in forma di Nicchio, sopra la quale era un Nettuno col Tridente, sotto il Capo Caccia Claudio di ser Domenico, vestito di cremisi con raccami doro con suoi staffieri assai ornati. L’insegna loro era tutta rossa, portata da Pauolo Trombetto, vestito di cremisi cò trine doro”. A parte il minor numero di “monturati”, nella ristampa si descrive la livrea completamente rossa e non turchina con banda rossa; in entrambe le versioni, invece, la bandiera è tutta rossa. In questo modo tre anni dopo, nel 1585, Vincenzo Rustici rappresenta la comparsa e il vessillo del Nicchio nei due celebri dipinti ad olio su tela che rappresentano il corteo e la caccia del 1546. Riguardo ai due contradaioli citati, nessuna notizia è reperibile su Claudio di Domenico, mentre l’alfiere, il trombetto Paolo, tre anni dopo risultava iscritto nei registri della compagnia dell’Abbadia Nuova di sopra per un modesto imponibile di 100 lire. Dal registro dei quattro Provveditori della festa veniamo a sapere che al “Nichio” vennero consegnate 28 lire (e 14 alla Chiocciola) vista “la povertà de la contrada […] per poter fare li animali”, cioè la macchina lignea a forma di conchiglia che sfilò durante il corteo e venne usata per la caccia. Inoltre fu ordinato a tal Giovanni Cappanna di “consegnare a li proveditori de la contrada del Nichio il stendardo con l’impresa del leone”.


Immagini: Corteo. Caccia dei tori del 1546 – Comune di Siena, Palazzo Pubblico.

1560

Una nuova caccia dei tori era prevista anche per l’entrata in Siena di Cosimo I de’ Medici, che sarebbe dovuta avvenire tra settembre e ottobre del 1560. A tale scopo il 2 settembre erano già stati precettati i capicaccia delle Contrade. Nel Nicchio era stato scelto il figlio di Jacomo di Guerrino pizzicaiolo, un minorenne dato che il 4 settembre fu suo padre ad accettare l’incarico, in un primo momento rifiutato come fecero diversi altri capicaccia, verosimilmente a causa di una strisciante ostilità verso il duca di Firenze e Siena. Come provveditori furono nominati Cesare Mucci e Pavolo sellaio. Anche questa volta il Nicchio fu aiutato con una sovvenzione di 4 scudi d’oro per “finir di rifare l’animale suo”. A ricevere il denaro a nome della Contrada fu Simone musico. Ciononostante, per ben due volte i quattro provveditori nominati per l’organizzazione della festa dovettero intimare ad una serie di contradaioli di versare entro due giorni le somme dovute “per fare detto animale et altre spese” nelle mani “de l’operaio de la fabrica del nichio”. La difficoltà a reperire le somme per predisporre la macchina e sopperire alle altre spese necessarie a partecipare alla caccia, causò anche un dissidio territoriale con il Valdimontone, il più antico documentato, sul quale i quattro provveditori presero una decisione il 12 settembre 1560. Motivo del contendere furono alcune case poste in Fieravecchia (“di Girolamo di Bindo sarto, di Lorenzo Cori e di alcuni altri suoi vicini”), rivendicate da entrambe le Contrade. I quattro dichiararono che “per questa volta tanto dette case poste ne la Fiera Vecchia in detta somma essare de la contrada del Montone et con essa dover uscire ne la festa da farsi”. Alla fine, comunque, la caccia non venne disputata e Cosimo procrastinò addirittura il suo arrivo di un anno, entrando ufficialmente a Siena il 28 ottobre 1561 senza alcun festeggiamento particolare.

1581

In occasione della venuta a Siena del Granduca di Toscana Francesco I e della consorte Bianca Cappello, che dopo lunga attesa arrivarono a febbraio del 1582, il 20 dicembre 1581 la Balìa stabilì di organizzare una caccia dei tori, una commedia e altre “feste maggiori”. Il Nicchio nominò come capocaccia il figlio di Aurelio Saracini. Inoltre vennero nominati i responsabili delle “invenzioni” e della raccolta del denaro necessario (“tassatori”); per l’“Abbadia Nuova, contrada del Nichio” furono: capitano Bobi Mansini, maestro Cesare manescalco, Ventura Guidi e Mauritio Scaramucci.
Sempre nell’estate del 1581, non su iniziativa pubblica ma delle Contrade, quasi ogni domenica tra maggio e agosto si organizzarono dei Palii rionali (cioè disputati nel territorio della Contrada promotrice) dove insieme a bufale, asini o bardotti, si usarono anche i cavalli. A raccontare questi giochi fu Domenico Cortese, autore del poemetto Trattato sopra le belle e sontuose Feste fatte ne la Mag.ca Città di Siena, Cominciate da la prima Domenica di Maggio per tutto il dì xvii d’Agosto de l’Anno 1581, secondo il quale nel Palio rionale organizzato dal Leocorno a giugno del 1581 il premio per il primo posto fu vinto dal Nicchio (“Del Liocorno il Palio al Nicchio accrebbe”).

25 luglio 1599

Il 25 luglio 1599 il Nicchio partecipò ad una corsa rionale organizzata dalla Contrada dell’Elefante (la Torre) per celebrare la festività del suo patrono San Giacomo. A ricordarlo è una composizione poetica stampata nell’occasione, forse dalla stessa Contrada del Nicchio, i “Madrigali cantati dalla Dea Dori, venuta con le Ninfe Nereiadi sue Figlie, e con Nereo Dio Marittimo, in compagnia d’Achelao, & Inaco Fiumi Regali, sopra il Nautilo, ò Nicchio: Per honorare la bella Festa il dì 25 di Luglio 1599. In Siena, nella lieta Contrada dell’Elefante”.

1612

Alla fine del XVI secolo le cacce dei tori furono abolite, essendo ritenuti spettacoli troppo cruenti. Nel giro di pochi anni, comunque, le Contrade ripresero a sfidarsi in giochi nel Campo dove, dopo aver combattuto le pugne, giocato al pallone e cacciato i tori, cominciarono a correre i Palii, anche se all’inizio senza i cavalli, ma con somari o bufale. A riscontrare più successo furono senz’altro le “bufalate”, mentre le “asinate” ebbero scarsa fortuna e pochissime sono quelle realmente attestate. La più antica corsa con le bufale fu disputata nel 1599 su iniziativa della Torre, e fu vinta dall’Onda. Un’altra fu organizzata nel 1612 in onore e alla presenza del Granduca di Toscana Cosimo II, in visita alla città dal 22 ottobre al 12 novembre insieme alla consorte Maria Maddalena d’Austria. Il Nicchio decise di prendere parte alla festa, e per finanziarsi chiese di poter imporre ad ogni suo contradaiolo il versamento di un contributo. Alla bufalata parteciparono sei Contrade (Onda, Oca, Lupa, Giraffa, Nicchio e Lionfante, come si chiamava la Torre allora) e la vittoria arrise proprio al Nicchio, mentre l’Onda si aggiudicò il premio per la migliore comparsa.

20 ottobre 1632

Il Nicchio trionfò anche nella bufalata del 20 ottobre 1632, quando arrivò in città il Granduca di Toscana Ferdinando II, disputata anch’essa da sei Contrade: Lupa, Oca, Torre, Nicchio, Tartuca e Onda. La festa è ricordata in varie incisioni ad acquaforte eseguite dal pittore senese Bernardino Capitelli: due mostrano il corteo (una con dedica al cavaliere Emilio Piccolomini, Maestro di Campo nell’occasione, e l’altra al duca di Guisa, che espulso dalla Francia era ospite dei Medici e assistette alla bufalata) e altre sette i carri realizzati dalle Contrade con un frontespizio. Quello del Nicchio era composto in alto dal dio Amore dentro una conchiglia aperta, e sotto i Ciclopi che aprivano la via delle Alpi alla Senna in modo da incontrare l’Arno e l’Ombrone. Ai piedi del carro sfilava un folto gruppo di cavalieri vestiti alla francese, con il chiaro intento di onorare il duca di Guisa. Oltre alle due prestigiose vittorie del 1612 e del 1632, il Nicchio sarebbe giunto primo anche in una corsa con le bufale disputata nel 1638.


Immagini: Corsa delle bufale (Biblioteca comunale degli Intronati di Siena).
Carro del Nicchio per la bufalata del 1632 (Vienna, Albertina).

14 luglio 1641

Il 14 luglio 1641, in occasione del trentunesimo compleanno del Granduca di Toscana Ferdinando II, suo fratello minore Mattias de’ Medici, Governatore di Siena, mise in premio un Palio “bellissimo e molto riccho”, del quale abbiamo diverse notizie grazie al diario del viaggio in Toscana (Iter per Hetruriam) compilato da Lucas Holstein, bibliotecario tedesco del cardinale Francesco Barberini senior, che vi assistette. Alla corsa presero parte otto Contrade, tra cui anche il Nicchio, alla sua prima presenza certa in un Palio alla tonda, insieme a Lupa, Onda, Civetta, Tartuca, Selva, Torre e Giraffa. Nel diario Holstein descrive anche i loro colori, attribuendo alla “Nicchia” un improbabile “giallo nero”, frutto di un palese errore con quelli della “Tartaruga”, descritta come “rosso turchino bianco”, con i quali si presentò il Nicchio. Dopo una spettacolare cavalcata del Granduca, accompagnato da oltre quaranta cavalieri, prima per le strade cittadine e poi “tre o quattro volte intorno alla piazza”, questi montò nel palco a lui destinato. Subito dopo fecero il loro ingresso sul Campo le otto Contrade partecipanti, da Holstein chiamate “compagnie”, “una doppo l’altra, con bandiere spiegate, che passando inanzi Sua Altezza tre volte inchinorno per terra. Poi entrate tutte nel recinto dela piazza cavarno a sorte il luogo e l’ordine per metter i cavalli alla corda. Dalli otto cavalli cascorno cinque nella calata inanzi il Pallazzo et il pallio guadagnò la Torre”.

2 luglio 1658

Corso a partire dal 2 luglio 1656, il Palio in onore della Madonna di Provenzano fu vinto dal Nicchio per la prima volta già nel 1658. Secondo alcune cronache ad aggiudicarselo sarebbe stata l’Oca, che invece giunse sicuramente seconda, come prova il resoconto della carriera contenuto nel Libro delle Deliberazioni della stessa Contrada di Fontebranda, dove si legge: “quantunque il nostro cavallo fusse il migliore mediante il fantino si mantenne sempre secondo”, attribuendo il mancato successo “all’imperizia del Fantino”. La vittoria del Nicchio è certificata da una breve annotazione vergata in calce al verbale dell’assemblea adunatisi il 24 giugno 1685: “dovendosi fare spese per terminare la fabbrica [dell’oratorio di San Gaetano Thiene] vendendosi il palio del 2 luglio 1658 per scudi 56 a offitiale”. Quasi trent’anni dopo, quindi, i nicchiaioli vendettero il premio conquistato nel 1658 allo scopo di finanziare i lavori della chiesa, che fu aperta al culto meno di due mesi più tardi.

12 agosto 1685

Per quasi trenta anni la Contrada del Nicchio si adunò nell’oratorio della compagnia laicale di Santo Stefano, che si ubicava nell’edificio oggi sede della società “La Pania”. A seguito di continue controversie con i confratelli, tuttavia, i nicchiaioli decisero di costruire un oratorio a proprie spese. A tale scopo il 29 agosto 1682 acquistarono un edificio posto nel forcone tra via dei Pispini e dell’Oliviera, dove già si trovava un tabernacolo oggetto di fervida devozione da parte degli abitanti del rione, in cui era custodita una pittura a fresco raffigurante la cosiddetta “Madonna del Forcone”. L’anno dopo comprarono anche l’abitazione contigua e avanzarono richiesta al Comune affinché cedesse alla Contrada alcuni metri di pubblica via; essa fu concessa dal Magistrato di Biccherna il 18 agosto 1683. L’edificazione della chiesa, che fu intitolata a San Gaetano Thiene, non avendo ricevuto il permesso dall’Arcidiocesi di dedicarlo ai SS. Giacomo e Filippo, antichi patroni del Nicchio, durò due anni. Il nuovo oratorio, pur privo di facciata e senza alcuna partitura architettonica o decorazione interna, fu consacrato e aperto al culto dall’arcive scovo di Siena Leonardo Marsili domenica 12 agosto 1685 con tutto il rione in festa. L’evento viene descritto con queste parole nel registro dei Ricordi e Deliberazioni della Nobile Contrada del Nicchio (1682-1706): “Et alle dodici ore venne monsignore illustrissimo, assistito da due canonici e ricevuto dalla nostra contrada […] come anche dal nostro parroco di San Mauritio e prete di questa contrada, vestiti con cotta. Di più dalla nostra contrada erano state invitate le altre contrade della città nostre aggregate che venissero per esse due delli suoi habitatori, così fu eseguito, e ricevute parimente da due de’ nostri habitatori, a tal effetto premeditati per doverli trattenere fino all’ultimo della fontione, come de fatto segni con suono di trombe e tamburi e dato principio alla benedittione, con salva di mortaletti si celebrò la santa messa, essendovisi adunato gran concorso di popolo per esservi fuori e dentro alla detta chiesa gran numero”. La facciata e la decorazione interna della chiesa furono realizzate in varie fasi tra il 1699 e il 1734.


Immagine: Esterno dell’Oratorio.

1690

Nel 1690 il Nicchio stampò un sonetto per solennizzare l’aggregazione con la Contrada dell’Onda, come si deduce dal lungo titolo: “Per maggior Aggregatione, e Pace, trà le Contrade del Nicchio, e dell’Onda, essendo quello sotto la Protettione di S. Gaetano, Si figura la Beatissima Vergine sopra un Nicchio nell’Onda del Mare, che s’invia al Tempio di S. Gaetano”. Il componimento fu impresso “nella Stamperia del Publico” e oggi è custodito presso la Biblioteca comunale degli Intronati. L’amicizia fra Nicchio e Onda era molto antica, e secondo una nota tradizione si sarebbe concretizzata già ai tempi dell’edificazione dell’oratorio di San Gaetano (1683-85), quando gli ondaioli avrebbero aiutato i nicchiaioli fornendo una gran quantità di materiale da costruzione. Il Nicchio approvò l’alleanza nell’assemblea del 25 luglio 1690, seguita poi dall’Onda ai primi d’agosto. A quell’epoca la Contrada era già sicuramente aggregata con l’Oca (che insieme a Selva e Civetta si era recata con la propria “insegna” in Provenzano “a rendere le gratie” insieme ai nicchiaioli festanti per la vittoria colta nel Palio del 2 luglio 1662), e con il Valdimontone, che in un verbale d’assemblea del 16 settembre 1685 si dichiarò “confederata” con il Nicchio.


Immagine: Sonetto dell’aggregazione con l’Onda (Biblioteca comunale degli Intronati di Siena).

1691

Dal 1679 le Contrade furono invitate a correre dei Palii anche fuori Siena, nel parco della villa di Cetinale vicino ad Ancaiano. A convocarle fu il cardinale Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII, che a partire dal 1651, prima della sua elezione al soglio pontificio, aveva iniziato a trasformare il podere agricolo di proprietà della famiglia in una villa signorile; i lavori furono poi completati dal cardinale. La competizione equestre era uno degli spettacoli del ricco programma di eventi che allietavano la festa di Sant’Eustachio, cui era intitolata la cappella della villa, che ogni anno si celebrava per alcuni giorni intorno al 20 settembre, ricorrenza del santo. Nel 1691 il Palio di Cetinale fu vinto dal Nicchio. A certificarlo è la seguente annotazione scritta dal camarlengo Giovan Battista Leoncini il 23 settembre: “Da più diversi abitatori mossi da zelo in verso il nostro santo luogo, andiedero a Citinale alla villa del eccellentissimo cardinale Chigi a fare correre in nome della nostra contrada al Palio solito fare correre senza fare deliberatione alcuna, e avendo vento detto Palio, subitamente donato a San Gaetano, e detto Palio si vendè per pagare de’ debiti”. Non sappiamo in cosa consistesse il premio; di solito il cardinale Flavio offriva un bacile d’argento, ma talora anche un più classico drappo di tessuto. Sicuramente fu assai gradito dai nicchiaioli, perché servì a saldare qualche debito che la Contrada aveva contratto, verosimilmente per i lavori all’oratorio di San Gaetano.


Immagini: Palio di Cetinale (Ariccia, Palazzo Chigi)

2 luglio 1715

Il Palio del 2 luglio 1715, vinto dalla Selva, è importante nella storia del Nicchio non perché arrivò l’agognato successo in corsa che mancava ormai dal 1683, ma per aver conquistato il premio assegnato alla migliore comparsa, reintrodotto giusto l’anno prima dopo diverso tempo. Il “masgalano” era costituito da una guantiera (un vassoio dove venivano riposti i guanti) presumibilmente d’argento, un’asta e un drappellone. Ai giudici dell’arrivo, marchese Alessandro Ruspoli, Annibale Savini e Paris Bulgarini, spettava la decisione di scegliere la Contrada che aveva allestito la comparsa migliore, la quale avrebbe conservato il drappelloncino e la mazza, mentre, come consuetudine, avrebbe dovuto restituire la guantiera alla Biccherna. In cambio la Contrada vincitrice del Palio l’avrebbe ricompensata consegnandole la somma di trenta tolleri oppure quattro braccia (poco più di due metri) del drappellone da essa conquistato. A confermare che la migliore comparsa fu giudicata quella del Nicchio è la documentazione conservata in Comune: “Gli Ill.mi Sig.ri Giudici dell’Arrivo ordinarono darsi il Palio alla detta Contrada della Selva; successivamente ordinarono doversi dare il Premio alla Contrada del Nicchio come tali che ha fatto meglior comparsa”. Come si evince dai due madrigali distribuiti dai nicchiaioli durante il corteo, oggi custoditi presso la Biblioteca comunale degli Intronati, la Contrada aveva allestito un grande carro scortato da trenta uomini a cavallo, che rappresentava la “pesca delle perle fatta dagli amorini nel mare, E dai medesimi offerta in dono alle Ninfe Marine, e tra le altre a Galatea, la più bella, e la principale delle Nereidi”. L’“inventione” del Nicchio si ispirava, quindi, al tema mitologico, comune alla maggior parte dei carri eseguiti nel Settecento, con riferimenti marini che richiamavano la sua araldica. La conquista del premio è riferita anche dal contemporaneo Giovanni Antonio Pecci, che assegna al Nicchio pure i masgalani del 1674 (una guantiera, poi donata alla compagnia di Santo Stefano) e del 1695, al quale si fa riferimento in un’assemblea dell’anno seguente. Forse perché il drappelloncino costituiva il simbolo di una vittoria sul Campo che mancava da anni, seppur come migliore comparsa, i nicchiaioli decisero di conservarlo gelosamente e non venderlo; infatti è ancora custodito nel museo della Contrada anche se “sotto mentite spoglie”. In epoca imprecisabile, ma probabilmente da collocare al XIX secolo, se non ai primi del successivo, il drappellone del 1715 fu arbitrariamente attribuito alla vittoria conquistata dal Nicchio nel Palio del 2 luglio 1791, aggiungendo in basso quest’ultima data. Il fatto, invece, che si tratti del premio per la migliore comparsa del 1715 è convalidato dai tre stemmi presenti al di sotto della Madonna di Provenzano, circondati da volute vegetali, che sono quelli dei tre Deputati della Festa nominati per quel Palio, ossia il conte Firmano Bichi, Francesco Chigi e Giovanni Battista Tommasi. Il piccolo drappellone è un reperto di straordinaria rilevanza sia perché è l’unico per la migliore comparsa giunto fino a noi, caratterizzato dalla classica iconografia della festività di luglio solo di dimensioni più ridotte, sia perché precedente di qualche anno a quello del 2 luglio 1719 vinto dall’Aquila, che è il più antico drappellone originale guadagnato per la vittoria in una carriera e ancora custodito da una Contrada.


Immagine: Paliotto per masgalano del 1715 (erroneamente datato 1791) (Museo della Nobile Contrada del Nicchio).

1785

Risale al 1785 l’alleanza del Nicchio con il Bruco, che a parte una breve interruzione fra il 1927 e il 1946, è ancora oggi in essere. La proposta arrivò dall’assemblea brucaiola del 22 maggio e fu approvata a larghissima maggioranza, con appena due voti contrari. Il seguente 5 giugno essa fu discussa nel Nicchio, dove fu ratificata con cinquantasei voti favorevoli e solo tre contrari.
La terza alleanza tutt’ora vigente è quella con la Tartuca, che è meno antica rispetto alle altre due con Onda e Bruco. Essa, infatti, risale ai tempi della costituzione del T.O.N.O., acronimo con cui si indicò la ben nota coalizione tra Tartuca, Oca, Nicchio e Onda, durata appena quattro anni dal 1930 al 1934.

Anni Quaranta del XIX secolo

La Contrada del Nicchio si qualificò come “Nobile” già il 4 settembre 1685 nell’incipit di uno dei libretti (le “vacchette”) delle Sante Messe celebrate in San Gaetano. Infatti cinque anni più tardi, nel sonetto del 1690 stampato per solennizzare l’aggregazione con l’Onda, la conchiglia presente in alto è sormontata da una corona del Granduca di Toscana, con punte triangolari alternate ad altre con piccoli gigli come terminali e al centro un grande giglio bottonato. Le motivazioni di carattere storico addotte dalla Contrada per giustificare il titolo nobiliare danno adito, tuttavia, a diverse perplessità e sembrano create ad hoc in epoca successiva, quando il Nicchio, a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, cominciò a fregiarsene stabilmente unitamente ad Aquila, Bruco e Oca (alla quale il Magistrato Comunitativo accordò nel 1846 il permesso di collocare sopra il proprio stemma la corona imperiale). Esse sono: il valore dimostrato dagli uomini delle due compagnie di Abbadia Nuova di sopra e di sotto in occasione della battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), durante la quale avrebbero attaccato il nemico guelfo addirittura per prime; ardore ribadito nel 1527 quando le compagnie nicchiaiole impedirono ai fuoriusciti noveschi di rientrare in città da porta Pispini; aver mantenuto l’esercito senese a proprie spese, in epoca imprecisata, addirittura per sei mesi; infine, e questa potrebbe essere l’unica giustificazione effettivamente documentata e significativa, perché gli abitanti dell’Abbadia Nuova si batterono ostinatamente per portare acqua nel rione, realizzando due fonti, una nel XV secolo e l’altra nel successivo, l’attuale fontana dei Pispini, in buona parte a proprie spese.

1887-1889

La visita a Siena del re d’Italia Umberto I e della regina Margherita di Savoia, avvenuta fra il 16 e il 18 luglio 1887, ha lasciato una traccia indelebile negli emblemi delle diciassette Contrade, poiché nel giro di pochi mesi tutte richiesero di poterli arricchire con simboli della Casa reale. La prima a muoversi in tal senso, prima ancora che la coppia giungesse in città, fu l’Aquila, seguita a ruota da Tartuca, Oca, Lupa, Chiocciola e Giraffa. In data 28 novembre il Regio Commissario per la Consulta Araldica, il barone Antonio Manno, espresse parere favorevole affinché alle sei Contrade venisse concessa “la grazia di fregiare la propria insegna con un particolare distintivo” che ricordasse “ai posteri l’avvenimento del 1887”, proponendo per ognuna uno specifico intervento araldico. Fu così che già il 24 aprile 1888 il Ministro della Real Casa Giovanni Visone poteva firmare i decreti di concessione, trasmessi alle Contrade interessate quattro giorni dopo. L’evento destò grande scalpore in città, spingendo anche le altre undici ad inoltrare una simile domanda di concessione. Il 10 maggio 1888 fu proprio il priore del Nicchio conte Bernardo Tolomei a convocare una riunione con gli altri dieci “colleghi” perché la richiesta fosse collettiva, giudicandola “cosa equa”. Il nuovo iter partì subito e il 10 luglio Manno scriveva una lunga nota al Ministero dell’Interno con le proposte della Consulta Araldica. Per la Contrada del Nicchio si esprimeva con queste parole, utili per capire come si presentasse lo stemma prima dell’intervento: “l’arma è di un Nicchio, coronato alla granducale, con due rami di coralli, decussati, che muovono dall’orecchio della valva dal quale pende una filza di perle di corallo; il tutto al naturale. Si propone di sostituire la filza di coralli con un pendente formato da tre nodi di Savoia, d’oro, divisi da due rose, una di rosso a destra, l’altra d’argento a sinistra”. Questi ulteriori decreti di concessione furono firmati dal Ministro Visone il 9 febbraio 1889 e trasmessi alle undici Contrade il 14 febbraio. Il Nicchio approvò la realizzazione delle bandiere con il nuovo stemma il successivo 19 maggio. 

1889

In un’informativa scritta da un ispettore di polizia nell’agosto del 1889 a seguito della richiesta indirizzata dal provveditore del Nicchio Ferdinando Pavolini al Presidente del Consiglio Francesco Crispi affinché diventasse protettore della Contrada, peraltro all’insaputa del priore conte Bernardo Tolomei, emerge che a fine Ottocento il Nicchio poteva contare su circa trecento protettori, per lo più appartenenti “al ceto dei mestieranti e negozianti” in buone condizioni economiche. Nel documento, dove il Pavolini fu descritto come “una nullità assoluta” alla continua ricerca di nuovi protettori per la Contrada, l’ispettore consigliò la Presidenza del Consiglio di respingere la richiesta, poiché altrimenti sarebbe stata costretta ad accettare istanze dello stesso tenore che certamente sarebbero arrivate dalle altre sedici, “onde evitare malcontenti e maggiori rivalità”.

7 agosto 1938

Della necessità di dotare la Contrada del Nicchio di una sede più spaziosa di quella che i documenti menzionano sin dal 1874, la quale si ubicava nel fabbricato attiguo all’oratorio di San Gaetano come oggi, se ne cominciò a parlare in un’assemblea dell’aprile del 1914. Il progetto fu approvato, non senza alcune perplessità, ma rimase sulla carta per qualche anno, anche a causa dell’incombente conflitto mondiale. Se ne tornò a parlare negli anni Venti del secolo, e soprattutto a partire dal 1926, quando la Contrada prima ebbe in eredità un magazzino e poi acquistò una rimessa ad esso adiacente, che consentivano di ampliare la sede. I lavori veri e propri, però, iniziarono solo alla fine del 1937, grazie ad una sottoscrizione incentivata dalla promessa di dipingere sul soffitto della futura Sala delle Vittorie lo “stemma gentilizio” di coloro che avessero versato una rata pari a 500 lire (alla fine saranno ben quarantatré contradaioli) o di annotare il nominativo in un apposito albo d’oro se il pagamento fosse ammontato a 100 lire. I nuovi locali furono inaugurati e benedetti dal correttore don Roggini domenica 7 agosto 1938, alla presenza delle Autorità cittadine e dei Priori delle altre Contrade. Dopo un primo restauro negli anni Cinquanta, la sede della Contrada fu ristrutturata negli anni Ottanta del secolo scorso. Il nuovo Museo del Nicchio fu inaugurato nel 1988.


Immagini: Sonetto celebrativo e programma dei festeggiamenti per l’inaugurazione della sede del Nicchio (Archivio della Nobile Contrada del Nicchio).

A cura di Roberto Cresti

1785

Risale al 1785 l’alleanza del Nicchio con il Bruco, che a parte una breve interruzione fra il 1927 e il 1946, è ancora oggi in essere. La proposta arrivò dall’assemblea brucaiola del 22 maggio e fu approvata a larghissima maggioranza, con appena due voti contrari. Il seguente 5 giugno essa fu discussa nel Nicchio, dove fu ratificata con cinquantasei voti favorevoli e solo tre contrari.
La terza alleanza tutt’ora vigente è quella con la Tartuca, che è meno antica rispetto alle altre due con Onda e Bruco. Essa, infatti, risale ai tempi della costituzione del T.O.N.O., acronimo con cui si indicò la ben nota coalizione tra Tartuca, Oca, Nicchio e Onda, durata appena quattro anni dal 1930 al 1934.

Anni Quaranta del XIX secolo  

La Contrada del Nicchio si qualificò come “Nobile” già il 4 settembre 1685 nell’incipit di uno dei libretti (le “vacchette”) delle Sante Messe celebrate in San Gaetano. Infatti cinque anni più tardi, nel sonetto del 1690 stampato per solennizzare l’aggregazione con l’Onda, la conchiglia presente in alto è sormontata da una corona del Granduca di Toscana, con punte triangolari alternate ad altre con piccoli gigli come terminali e al centro un grande giglio bottonato. Le motivazioni di carattere storico addotte dalla Contrada per giustificare il titolo nobiliare danno adito, tuttavia, a diverse perplessità e sembrano create ad hoc in epoca successiva, quando il Nicchio, a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, cominciò a fregiarsene stabilmente unitamente ad Aquila, Bruco e Oca (alla quale il Magistrato Comunitativo accordò nel 1846 il permesso di collocare sopra il proprio stemma la corona imperiale). Esse sono: il valore dimostrato dagli uomini delle due compagnie di Abbadia Nuova di sopra e di sotto in occasione della battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), durante la quale avrebbero attaccato il nemico guelfo addirittura per prime; ardore ribadito nel 1527 quando le compagnie nicchiaiole impedirono ai fuoriusciti noveschi di rientrare in città da porta Pispini; aver mantenuto l’esercito senese a proprie spese, in epoca imprecisata, addirittura per sei mesi; infine, e questa potrebbe essere l’unica giustificazione effettivamente documentata e significativa, perché gli abitanti dell’Abbadia Nuova si batterono ostinatamente per portare acqua nel rione, realizzando due fonti, una nel XV secolo e l’altra nel successivo, l’attuale fontana dei Pispini, in buona parte a proprie spese.

1887-1889

La visita a Siena del re d’Italia Umberto I e della regina Margherita di Savoia, avvenuta fra il 16 e il 18 luglio 1887, ha lasciato una traccia indelebile negli emblemi delle diciassette Contrade, poiché nel giro di pochi mesi tutte richiesero di poterli arricchire con simboli della Casa reale. La prima a muoversi in tal senso, prima ancora che la coppia giungesse in città, fu l’Aquila, seguita a ruota da Tartuca, Oca, Lupa, Chiocciola e Giraffa. In data 28 novembre il Regio Commissario per la Consulta Araldica, il barone Antonio Manno, espresse parere favorevole affinché alle sei Contrade venisse concessa “la grazia di fregiare la propria insegna con un particolare distintivo” che ricordasse “ai posteri l’avvenimento del 1887”, proponendo per ognuna uno specifico intervento araldico. Fu così che già il 24 aprile 1888 il Ministro della Real Casa Giovanni Visone poteva firmare i decreti di concessione, trasmessi alle Contrade interessate quattro giorni dopo. L’evento destò grande scalpore in città, spingendo anche le altre undici ad inoltrare una simile domanda di concessione. Il 10 maggio 1888 fu proprio il priore del Nicchio conte Bernardo Tolomei a convocare una riunione con gli altri dieci “colleghi” perché la richiesta fosse collettiva, giudicandola “cosa equa”. Il nuovo iter partì subito e il 10 luglio Manno scriveva una lunga nota al Ministero dell’Interno con le proposte della Consulta Araldica. Per la Contrada del Nicchio si esprimeva con queste parole, utili per capire come si presentasse lo stemma prima dell’intervento: “l’arma è di un Nicchio, coronato alla granducale, con due rami di coralli, decussati, che muovono dall’orecchio della valva dal quale pende una filza di perle di corallo; il tutto al naturale. Si propone di sostituire la filza di coralli con un pendente formato da tre nodi di Savoia, d’oro, divisi da due rose, una di rosso a destra, l’altra d’argento a sinistra”. Questi ulteriori decreti di concessione furono firmati dal Ministro Visone il 9 febbraio 1889 e trasmessi alle undici Contrade il 14 febbraio. Il Nicchio approvò la realizzazione delle bandiere con il nuovo stemma il successivo 19 maggio.   

1889

In un’informativa scritta da un ispettore di polizia nell’agosto del 1889 a seguito della richiesta indirizzata dal provveditore del Nicchio Ferdinando Pavolini al Presidente del Consiglio Francesco Crispi affinché diventasse protettore della Contrada, peraltro all’insaputa del priore conte Bernardo Tolomei, emerge che a fine Ottocento il Nicchio poteva contare su circa trecento protettori, per lo più appartenenti “al ceto dei mestieranti e negozianti” in buone condizioni economiche. Nel documento, dove il Pavolini fu descritto come “una nullità assoluta” alla continua ricerca di nuovi protettori per la Contrada, l’ispettore consigliò la Presidenza del Consiglio di respingere la richiesta, poiché altrimenti sarebbe stata costretta ad accettare istanze dello stesso tenore che certamente sarebbero arrivate dalle altre sedici, “onde evitare malcontenti e maggiori rivalità”.

Sonetto celebrativo e programma dei festeggiamenti per l’inaugurazione della sede del Nicchio (Archivio della Nobile Contrada del Nicchio).

7 agosto 1938

A cura di Roberto Cresti